MAESTRO E INQUISITORE
Estratto da Guglielmo Russino, Il dibattito medievale sulla tolleranza: Rolando da Cremona e il Liber suprastella, Mediaeval Sophia (4/2008), pp. 92-103.
Gregorio IX affida l’inquisizione ai domenicani
Miniatura dal quinto libro delle Decretali.
Fonte: Enluminures
Nel 1229 Rolando da Cremona ricevette la prima cattedra universitaria di teologia assegnata a un frate domenicano. [1] Uno dei tratti salienti della sua biografia, secondo le testimonianze dei confratelli, fu senza dubbio l’impegno antiereticale. Alla lotta contro l’eresia si dedicò con irruenza e impegno instancabile. Rolando ha un’idea chiara della missione dell’ordine: i frati sono nati per combattere gli albigesi (ordo fratrum predicatorum contra albiensum locustas est statutus). La notte debbono pregare e contemplare, ma giunto il giorno il loro compito è pugnare contra ephesi bestias. [2] Eppure, nonostante una conoscenza ampia e di prima mano, egli non sembra avere alcuna comprensione profonda, intima, del dissenso religioso. Una barriera impenetrabile si frappone fra lui e i disgraziati caduti nell’errore.
A Tolosa è subito protagonista. Vi giunge nel 1230 per insegnare alla locale università, appena istituita. [3] Il legato del papa, Romano di Sant’Angelo, aveva fatto inserire la fondazione dell’università tra le clausole che il trattato di Meaux impose al conte di Tolosa nel 1229. Si trattava d’installare, sotto l’egida della Santa Sede, un centro di studi che funzionasse da focolaio della riconquista cattolica nel regno dell’eresia catara. [4]
Rolando ebbe presto modo di distinguersi, e non per prudenza e moderazione. Quando dal convento venne denunciata pubblicamente la presenza di eretici in città vi furono aspre reazioni da parte dei tolosani, i quali negarono fermamente le accuse (ben consapevoli delle pericolose conseguenze che ne potevano scaturire). Invece di farsi intimorire dalle proteste Rolando spinse i confratelli a proseguire la battaglia con vigore. Lui per primo la portò avanti viriliter et potenter. L’occasione si presentò pochi giorni dopo. Avendo saputo che due uomini, da poco sepolti, erano stati in realtà eretici, guidò intrepidamente i frati, il clero e «alcuni del popolo»: in un’atmosfera di estrema tensione disseppellirono e bruciarono, dopo una solenne processione per le vie della città, i resti dei due defunti. [5]
Il Duomo di Piacenza (1122-1233)
Fonte: Flickr
Tornato in Italia, dal 1233, ricoprì incarichi inquisitoriali e non cessò di lottare contro gli avversari della fede (il suo ritorno è verosimilmente da collegare all’affidamento ai domenicani dell’inquisizione in Italia). Portava con sé l’esperienza guadagnata sul campo e una forte consapevolezza di ciò che era il suo dovere: opus Dei est impugnare hereticos et infideles. [6] Affronterà numerosi pericoli, come a Piacenza, dove nel 1233 sarà assalito con sassi e armi mentre predicava in piazza (un monaco in quell’occasione fu ucciso). [7] Nel 1244 riceverà l’incarico di istituire il processo per eresia contro il temibile Ezzelino da Romano.
Non stupisce dunque che il suo temperamento si rifletta nell’opera principale. La Summa a lui ascrivibile contiene una breve questione de zizania. [8] Seguendo una tradizione esegetica già consolidata nei padri la zizzania della parabola neo-testamentaria (Mt. 13, 24-30) allude agli eretici: zizania sunt specialiter heretici. [9] Ora, alcuni — che non posseggono una retta fede (quidam qui non sunt recte fidei) — sono soliti affermare che gli eretici non debbono essere uccisi, sulla base di Mt. 13, 28-30: bisogna lasciar crescere la zizzania fino alla mietitura (che avverrà con il giudizio finale). Quindi Dio — secondo costoro — non vuole che gli eretici siano bruciati (Dominus non vult ut heretici comburantur). Se fossero uccisi non avrebbero la possibilità di pentirsi, suggerisce inoltre una glossa di Agostino.
Non sono pure speculazioni astratte. È qui registrato un orientamento che merita di essere discusso e confutato. A sostenerlo sono individui concreti (quidam qui non sunt recte fidei) e le obiezioni di costoro paiono di una certa serietà e non occasionali, lasciano pensare a tesi usuali e ripetute nel tempo (solent dicere, “sono soliti dire”). Ma è anche chiaro che a sostenerle si è ormai fuori dal solco della Chiesa (non sunt recte fidei). Il Concilio Laterano IV ha scavato un fossato non più colmabile. Con argomenti simili a quelli qui menzionati un’esegesi “tollerante” della parabola evangelica era rimasta viva fino al declinare del XII secolo. Possiamo seguirne lo svolgimento da Wazo a Pietro Cantore, e tuttavia ora un’antica linea esegetica è bollata come indice di una fede non retta. [10]
Apostolo con la spada. Laterale di altare di Orós, prima metà del XIII secolo
(Museu Nacional d’Art de Catalunya, Barcelona)
Rolando risponde con durezza ai suoi oppositori. La glossa — ci dice — va interpretata e Agostino, oltretutto, ha in seguito cambiato opinione. Se anche non l’avesse fatto bisogna credere alle scritture e alla chiesa più che ad Agostino (magis credo novo et veteri Testamento et toti ecclesie quam Augustino). L’importante è capire bene, senza precipitazione, cosa sia zizzania e cosa frumento. Quando ciò sia manifesto nulla impedisce che gli eretici siano tolti dal mondo “con la falce della sentenza giudiziaria”. La possibilità di pentirsi va data a chi è ancora nel dubbio, ma l’eretico ostinato deve essere ucciso. Può solo essere causa di corruzione: il frumento muta in zizzania, ma non accade il contrario. E nemmeno si deve aspettare la fine dei tempi: i mietitori della parabola sono gli angeli, è vero, però anche i vescovi e i poteri secolari sono “angeli di Dio”, in quanto suoi nunzii e ministri. L’angelo vescovo deve tagliare la zizzania con la falce della sua sentenza di scomunica, mentre l’angelo potere secolare fornisce l’appoggio del gladio materiale. [11]
Certo, bisogna procedere con cautela, evitando forme dannose di eradicazione. Ad esempio, la scomunica dei prìncipi, i quali potrebbero trarre con sé molti seguaci, e in genere delle moltitudini, rischia di risolversi in un danno per la chiesa. Richiede dunque una speciale licenza papale. Ma un consiglio cittadino può bene essere scomunicato. Ancora una volta siamo proiettati sul terreno dei concretissimi conflitti italiani. L’insegnamento del maestro, lungi dall’isolarsi nell’empireo della teoresi, offre indicazioni pratiche e operative su come affrontare i casi quotidiani del tempo: le lotte dei partiti e le resistenze delle autorità civili.
Un’altra questione chiede se le falsità dette dagli eretici si possano definire menzogne. Sembrerebbe di no, qualora la menzogna richieda la consapevolezza di mentire: in fondo l’eretico — pur errando — dice quel che sente, quel che il suo animo gli detta. [12] Ma Rolando non è d’accordo. La coscienza che abbia conservato una sia pur minima capacità di discernimento sa bene di essere condannata quando si erge contra fidem. Allo stesso modo Giuda sapeva bene di commettere il male tradendo Cristo, eppure lo fece ugualmente, vinto dal diavolo e dalla sua iniquità. Così gli eretici devicti a diabolo et propria iniquitate si gettano nel fuoco da se stessi. Eppure sanno cosa detta la coscienza e provano rimorso, sia pur debolmente dato che in loro la coscienza è quasi estinta e non consente di tornare indietro. L’autore parla per esperienza: Quod vidi narro… Riferisce di un interrogatorio in cui dopo aver incalzato gli eretici fino a ridurli nella più completa confusione, chiese perché non tornassero alla fede. La risposta fu “non possiamo”, segno evidente della malafede e dell’incapacità di liberarsi dai lacci con cui il demonio li aveva avvinti. Il maestro, il letterato, il dottore non sa comprendere perché uomini semplici e ignoranti, pur vinti dalla sua dialettica, non accettino di sottomettersi.
La spietatezza rivela qui la sua causa. Chi si è allontanato dalla chiesa, resistendo con pertinacia a ogni correzione, non è più pienamente uomo. Trasformato in semplice strumento, privo di una volontà propria, manovrato dal demonio, si trova senza alcuna possibilità di riscatto. [13] La de-umanizzazione è completa. Quod vidi narro…
NOTE
[1] Affermato maestro delle arti a Bologna, Rolando prese l’abito domenicano nel 1219. Nel 1229 diviene il primo maestro domenicano di teologia a Parigi. L’anno successivo è a Tolosa. Dal 1233 al 1244 svolge la sua attività in Italia. Muore nel 1259. Sulla sua vita e le sue opere si vedano W. Senner, Roland von Cremona, in BBKL XVII, pp. 1158-1160; P. Glorieux, Répertoire 1, p. 43; T. Kaeppeli, Scriptores III (1980), pp. 330-1; IV (1993), p. 272. Dell’opera principale di Rolando, la Summa, è stato edito solo il terzo libro: Summae Mag. Rolandi Cremonensis, O. P. liber tercius, curante L. Cortesi, Monumenta Bergomensia, Bergamo, 1962. Sul pensiero di Rolando si vedano G. Cremascoli, La Summa di Rolando di Cremona. Il testo del prologo, «Studi medievali» III serie, 16 (1975), pp. 825-876; Id., Regina omnium scientiarum. Per la lettura di una questio di Rolando di Cremona, «Divus Thomas [Piacenza]» 79 (1976), pp. 28-66; I. Biffi, Figure medievali della teologia I, Jaca Book, Milano, 1992, pp. 155-193.
[2] A. Dondaine, Un commentaire scripturaire de Roland de Cremone: le Livre de Job, «Archivum Fratrum Praedicatorum» 11 (1941), p. 115.
[3] Sulla data del suo soggiorno in Linguadoca cfr. M.-H. Vicaire, Roland de Crémone ou la position de la théologie à l’Université de Toulouse, in Les universités du Languedoc au XIIIe siècle (Cahiers de Fanjeaux 5), Privat, Toulouse, 1970, pp. 145-178 (in particolare le pp. 159-162).
[4] J. Verger, Le università nel Medioevo, Il Mulino, Bologna, 1991, p. 63. Cfr. C. E. Smith, The University of Toulouse in the Middle Ages: Its Origins and Growth to 1500 A.D., Marquette University Press, Milwaukee, 1958, p. 53-4. Sul ruolo dell’università tolosana nella lotta contro il catarismo si vedano i lavori, più ampi e sfumati, di M.-H. Vicaire – H. Gilles, Rôle de l’université de Toulouse dans l’effacement du catarisme, in Effacement du Catharisme? (Cahiers de Fanjeaux 20), Privat, Toulouse, 1985, pp. 257-276 e di Y. Dossat, L’université de Toulose, Raymond VII, les capitouls et le Roi, in Les universités du Languedoc au XIIIe siècle, cit., pp. 58-91.
Tavola di San Domenico, primo quarto del XIV secolo
(Museu Nacional d’Art de Catalunya, Barcelona)
Fonte: Web Gallery of Art
[5] Guillelmi Pelhisso op Chronicon, in C. Douais, Les sources de l’histoire de l’inquisition, Palmé, Paris, 1881, pp. 86-88: […] Legebat ibi tunc temporis Theologiam magister Rotlandus, qui venerat de Parisius, ubi fuerat factus magister in theologia cathedralis. Quadam autem die, cum predicaret quidam frater noster dixit in sermone suo, quod heretici manebant in villa, et faciebant ibi sua consilia et hereses seminabant. Quod audientes homines de villa multum fuerunt inde perturbati et commoti. Unde consules ville vocaverunt priorem ad domum communem, precipientes ei quod diceret fratribus, quod de cetero non attemptarent talia predicare, et valde pro malo haberent, si diceretur quod heretici essent ibi, cum nullus, ut ipsi asserebant, inter eos esset talis. Hec et similia comminantes intulerunt. Tunc magister Rotlandus, hoc audito a priore, respondit et dixit: «Certe nunc oportet quod nos magis ac magis contra hereticos et eorum credentes predicemus». Quod fecit ipse et alii similiter, viriliter et potenter. In illis diebus, mortuus est in Burgo Tholose A. Petri, donatus Sancti Saturnini et in morte canonicatus, cum superpellicio, et in claustro sepultus, qui prius hereticatus fuerat in morte, nescientibus canonicis. Quod ut audivit magister Rotlandus, ivit cum fratribus et clericis illuc, et eum extumulatum trahi fecerunt ad ignem et combustus est. Eodem tempore, est mortuus in dicto Burgo quidam hereticus, Galvannus nomine, archimandrita magnus Valdensium. Quod magistrum Rotlandum non latuit, et publice hoc retulit in sermone, et convocatis fratribus et clero et aliquibus de populo, iverunt confidenter ad domum ubi dictus hereticus obierat, et eam funditus destruxerunt, et fecerunt eam locum sterquilinii, et dictum Galvannum extumulaverunt, et de cimiterio Villenove, ubi sepultus fuerat, extraxerunt. Corpus vero illius per villam cum ingenti processione traxerunt, et in loco communi extra villam combusserunt. Hoc ad laudem Domini nostri Jhesu Christi et beati Dominici actum est, et ad honorem Romane et Catholice ecclesie, matris nostre, anno Domini M. CC. XXXI.
[6] E. Filthaut, Roland von Cremona op und die Anfänge der Scholastik im Predigerorden, Albertus-Magnus Verlag, Vechta i. O., 1936, p. 25.
[7] L’episodio è rievocato nella Chronica Placentina di Pietro di Ripalta. Lo riportiamo qui nella trascrizione quattrocentesca di Iacopo Mori (MS. Pallastrelli 6), edita a cura di M. Fillìa e C. Binello, Piacenza, Tip.Le.Co., 1995, p. 54 (versione digitale su Itinerari Medievali): Eodem anno de mense octobris, cum frater Rolandus de Cremona ordinis Predicatorum predicaret in platea maioris ecclesie Placentie magne multitudini clericorum, monachorum et laicorum, ecce multitudo hereticorum cum fautoribus eorum advenientes cum lapidibus et gladiis percusserunt ipsum fratrem Rolandum et etiam quemdam monacum Sancti Savini vulneraverunt ad mortem. Et tunc Iacobus Mainerius de Mediolano erat potestas Placentie, qui presens fuit ad predicta. Sequenti vero die dictus potestas cum iudicibus et militibus suis et cum multis hereticis et culpatis in hoc, de mandato et exhortatione reverendi domini Vicedomini tunc episcopi Placentie, capti fuere et incarcerati; deinde ex iusu prefati domini episcopi et exhortatione prefati fratris Rolandi missi fuerunt ad dominum papam. Cfr. gli Annales placentini guelfi, MGH SS XVIII, pp. 454-455. Si veda pure F. Ehrle, S. Domenico, le origini del primo studio generale del suo Ordine a Parigi e la Somma teologica del primo Maestro Rolando da Cremona, Roma, 1923, p. 13 e nota 1 e le più recenti osservazioni di Caterina Bruschi nell’Introduzione a Salvo Burci, Liber suprastella, a cura di C. Bruschi, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma, 2002.
[8] Rolandi Cremonensis Summa III, q. 464 De zizania, pp. 1365-1366. La composizione dell’opera è stata datata intorno al 1234, dopo il rientro di Rolando in Italia (Filthaut, Roland von Cremona…, cit., pp. 49-50). Ci sono però ragioni per farla scivolare ulteriormente fin verso il 1244. Si veda R. A. Gauthier, Notes sur les débuts (1225-1240) du premier Averroisme, «Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques» 66 (1982), pp. 321-374 — in particolare le pp. 330-331 —. Cfr. anche C. Vansteenkiste, L’Editio princeps della Somma di Rolando da Cremona O.P., «Angelicum» 41 (1964), p. 435.
[9] Sulla parabola della zizzania ed il suo ruolo si veda La zizzania nella chiesa e nel mondo. Interpretazioni di una parabola, a c. di G. Ruggieri, numero monografico di «Cristianesimo nella storia» 26 (2005) e in particolare il saggio di M.T. Dolso, La parabola della zizzania e il problema ereticale tra XII e XIII secolo, pp. 225-263. Cfr. anche R. Bainton, The parable of the tares as a proof text for religious liberty to the end of the sixteenth century, «Church History» 1, 1932, p. 67.
[10] Su Wazo di Liegi (†1048) si veda Anselmi Gesta Episcoporum Leodiensium 62-64 (MGH SS VII, pp. 226-228). Su Pietro Cantore (†1197) si veda Petri Cantoris Verbum abbreviatum (CCCM 196, p. 508-509). Cfr., oltre alle indicazioni della nota precedente, J.W. Baldwin, Masters, princes, and merchants: the social views of Peter the Chanter & his circle, Princeton University Press, Princeton (N.J.), 1970, pp. 320-323.
[11] Era un linguaggio corrente. In termini simili si esprime un altro dei primi maestri domenicani, Ugo di Saint-Cher (Hugonis a St. Charo Tractatus super missam seu speculum ecclesiae, edidit G. Sölch, Aschendorff Monasterium, Aschendorff, 1940, p. 27). Nella sua esposizione della messa spiega: «il principe spirituale respinge gli eretici con la spada del verbo di Dio, quello terreno detiene la spada di ferro per colpire gli ostinati» (Oratur autem pro principe spirituali et terreno. Spiritualis habet gladium verbi dei ad repellendos haereses, terrenus habet gladium ferri ad feriendos contumaces).
[12] Rolandi Cremonensis Summa III, q. 467, p. 1375. Si veda più sotto tra i documenti.
[13] C’è anzi da chiedersi se in qualche caso non siano persino peggiori di qualche demone minore: Forte aliquis hereticus deterior aliquo parvo demone (Summa III, q. 75, p. 227).
DOCUMENTI
Summae Mag. Rolandi Cremonensis, O. P. liber tercius, curante L. Cortesi, Bergamo, Monumenta Bergomensia, 1962.
q. 464, De zizania, pp. 1365-1366.
Postea queritur de zizania. Zizania sunt specialiter heretici et generaliter sunt omnes reprobi, quoniam sancti sunt triticum quod reponitur in orreis celestibus, mali autem sunt palee que comburuntur igne inextinguibili; et zizania similiter sunt heretici, quoniam venenum infundunt, sicut lolium infundit venenum. Solent ergo dicere quidam, qui non sunt recte fidei: non debent heretici incidi, sive interfici, quoniam quando dixerunt servi Domini: Vis, imus, eradicemus zizania?, respondit Dominus: Non, ne forte simul eradicetis et triticum. Ego autem dicam messoribus ut alligent ea in fasciculos et comburant igni [Mt. 13, 28-30]. Hic ergo aparet, inquiunt contra ecclesiam, quod Dominus non vult ut heretici comburantur. Item plus dicunt: glosa Augustini super locum illum aperte videtur dicere ut non interficiantur, quoniam dicit: Qui hodie est hereticus cras defendet fidem. Et ita contra ecclesiam opponunt et de textu et Glosa.
Et nos opponimus ita contra eos, quia Dominus dicit in Evangelio [Lc. 19, 27]: Adducite eos et coram me interficite. Item Petrus [1Pt. 2, 14]: Ad vindictam malefactorum etc., et alia que alibi diximus. Quibus probatur quod etiam in novo Testamento vult Deus quod malefactores interficiantur.
S. Ilario combatte contro gli eretici
Jacobus de Voragine, Legenda aurea, 1348
Fonte: Mandragore.
Item contra eos. Si Deus vellet ostendere in illo Evangelio quod non placet sibi ut zizania eradicentur, quare ergo non respondit servis ita simpliciter, quando dixerunt: Vis imus ut eradicemus ea?: Non? quare addidit: Ne simul eradicetis et triticum? nisi quia bene vult quod etiam modo falce sententie iuditialis tollantur de mundo, sed non alii nisi illi de quibus manifestum est quod non sunt triticum, sed lolium, vel zizania, que numquam possunt amplius mutari in frumentum. Triticum enim mutatur in zizania, non autem e converso. Significavit ergo Dominus in illo verbo ut precidantur quam cito manifestum est quod sunt zizania.
Et hoc fuit quod dixit Augustinus: Qui hodie est hereticus cras erit catolicus, idest dum est dubium an velit redire et fieri triticum, non occidatur. Et quod ita intelligatur illud quod dicit Augustinus, patet, quoniam alibi dicit Augustinus quod potestas sine aliquo peccato interficit reum, et cum interficit non ille interficit, sed lex. Et si vult tenere pertinaciter quod Augustinus vult in illa Glosa ut non interficiantur heretici, tunc dico: Augustinus retractavit eam. Et si non retractasset, magis credo novo et veteri Testamento et toti ecclesie quam Augustino. Sic ergo sum in ista sententia quod heretici debent interfici, si non volunt redire ad fidem.
Sed contra nos opponunt illud quod sequitur [Mt. 13, 39]: Messores sunt angeli, messis autem est finis seculi. Ergo non vult Dominus quod heretici precidantur nisi in messe, idest in fine mundi. Iterum non vult quod alii precidant eos nisi angeli; ergo non vult quod illud sit officium hominum, quod heretici tollantur de mundo, sicut et videtur Augustinus significare in Glosa.
Sed ipsi debent considerare quamdam aliam Glosam quam vidi in quibusdam codicibus, que sic dicit: Non in hoc prohibetur gladius Cesaris. Ad illud quod dicunt de messe et de messoribus, dicimus quod messis [B143c] est finis seculi; et quando reus occiditur, tunc est messis lolii et est ei finis seculi. Messores autem sunt angeli; angeli autem dicuntur nuntii, et episcopi dicuntur angeli in Malachia [2, 7], quoniam angelus Domini est. Iterum potestates seculares sunt angeli Dei quoniam nuncii Dei, quoniam ministri Dei, sicut dicit Apostolus [Rm. 13, 4]: Minister Dei est vindex in iram. Episcopi ergo debent precidere zizania falce excommunicationis, vel etiam falce sue sententie, quoniam debent eos iudicare esse hereticos. Alius autem angelus, idest potestas secularis debet eos precidere gladio materiali. Et cur? loquitur similitudinarie Dominus quantum ad zi[zania], et non quantum ad angelos.
Item hic potest distingui quadruplex eradicatio zizanie, sicut distingunt iuris periti, quia quedam est festinata, quedam suspitiosa, quedam dampnosa, quedam autem legittima. Festinata autem que fit cum impetu. Suspitiosa que ex levi suspitione fit. Dampnosa ubi magnum fit dampnum ecclesie, sicut in excommunicatione principis, quoniam princeps multos potest trahere secum, vel excommunicatione multitudinis; et propter hoc vult papa ut civitas non excommunicetur sine speciali licentia sua; Consilium [civitatis] autem potest excommunicari. Alia autem est que fit cum deliberatione magna et discretione et conscilio scientie. De duabus primis intelligitur illa prohibitio eradicationis zizanie.
q. 467, De generibus mendacium [estratto], pp. 1375-1376.
Sed contra hoc opponitur. Tu dicis quod hereticus mentitur dicendo contra fidem, vel contra vetus Testamentum; Augustinus autem dicit quod non mentitur aliquis nisi quia dicit [aliter] qua[m] hoc quod sentit animo; hereticus autem dicendo contra fidem, non dicit contra animum suum, quia dictat ei animus suus quod ita sit. Iterum cum dicit vetus Testamentum esse a principe tenebrarum. Non mentitur iudeus dicens: ‘Christus non est Deus’, quia non dicit contra mentem; falsum dicit tamen pernitiose.
Davide fa uccidere l’amalecita, 1240-1250
Fonte: Enluminures.
Ad hoc quod obiectum est dicimus quod hereticus mentitur dicendo contra vetus, vel novum Testamentum, maxime cum dicit contra fidem. Et contra conscientiam dicit, alioquin non diceret Apostolus de heretico quod est proprio iuditio condempnatus [Tit. 3, 1, 1]. Dictat enim ei conscientia, que aliquam discretionem habet, quod dampnatus est. Conscientia Iude Scariothis dictabat enim quod male faciebat vendendo Christum, et tamen faciebat devictus a diabolo et propria iniquitate; et quia devictus erat a diabolo et propria iniquitate, laqueo se suspendit. Et heretici devicti a diabolo et propria iniquitate se proitiunt in ignem. Videt enim hereticus quod homo est illitteratus et quod in ecclesia romana sunt optimi clerici, et illi idem sunt homines optimi; et ideo de necessitate conscientia remordet. Debiliter tamen remordet, quia quasi exstincta est, et non potest redire deceptus a diabolo et propria iniquitate. Mentitur ergo in doctrina religionis. Et non est ita de iudeo. Adheret enim legi sue litterali; hereticus autem non habet ubi hereat. Et ideo iste mentitur, ille autem non.
Quod vidi, narro. Examinabam quosdam hereticos, et sic artavi eos ut non possent substinere que dicebant. Postquam vidi eos ita confusos, dixi eis: ‘Quare ergo non reditis ad fidem?’ Illi autem dixerunt: ‘Non possumus’. Manifestum est ergo quod heretici contra conscientiam dicunt in doctrina religionis. […] De aliis non potest dici quod mentiantur in doctrina religionis, nisi de hereticis.
Keywords: heresy, tolerantia, Roland of Cremona, Rolandus Cremonensis, zizania, inquisition, dominicans.
Mi piace:
"Mi piace" Caricamento...