Perfidus, Perfidia

Besançon, BM ms. 579, f. 23
Immagini antisemite: ebreo che percuote un cristiano.
Miniatura del XIV secolo (da Enluminures).

 

Si legge e si sente spesso che perfidus e perfidia, quando utilizzati da scrittori del periodo patristico e medievale, hanno un significato diverso da quello assunto nelle lingue moderne. Indicherebbero sostanzialmente l’incredulità, non una qualche forma di malevolenza. Ma è davvero così? Temo invece che i termini non abbiano mai perso il loro carattere denigratorio, anche nella preghiera pro perfidis Iudaeis.

Una breve nota sull’argomento, Perfidus nel latino ecclesiastico, è stata pubblicata su Pan 24 (2008), pp. 117-125. L’articolo originale (in formato pdf) può essere scaricato qui. Quel che segue è una versione del testo con poche correzioni marginali.

Aggiornamento (Novembre 2012): merita di essere qui segnalato il bel saggio di Andrea Nicolotti, “Perfidia iudaica. Le tormentate vicende di un’orazione liturgica prima e dopo Erik Peterson” (vai all’articolo). Da una diversa prospettiva, ma con uno sguardo di ampio respiro e con ricchezza di documentazione, offre un eccellente quadro d’insieme su tutta la questione.

 


Perfidus nel latino ecclesiastico
di Guglielmo Russino

Nel prologo del Libro delle guerre del Signore (Liber bellorum Domini), composto intorno al 1230-1240, Guglielmo di Bourges avverte di aver scritto l’opera contra perfidiam Iudeorum. Gilbert Dahan, curatore dell’edizione critica, osserva in nota che a perfidia deve essere qui attribuito il senso di «incredulità» o «mancanza di fede», citando a sostegno i pareri di Bernhard Blumenkranz e Henri de Lubac [1]. Ci si sforza dunque di liberare il termine da una troppo stretta vicinanza con il significato a noi usuale: perfidus sarebbe cosa diversa da «perfido». Tuttavia il tono generale del Liber è assai violento, proprio come ci si aspetterebbe da un testo polemico dell’epoca, e alcune pagine dopo si afferma che a partire dalla passione di Cristo il nome «Giudei» deriva non più da Giuda il patriarca ma da Giuda il traditore [2].

È difficile evitare una sensazione di disorientamento: l’autore medievale assimila apertamente gli ebrei ai traditori, mentre per gli studiosi moderni perfidus e perfidia del latino ecclesiastico vanno intesi diversamente dai loro omonimi italiani. Visto che Guglielmo di Bourges può permettersi, in tutta tranquillità, di definire gli ebrei come traditori, perché dovrebbe trattenersi dal chiamarli «perfidi»? Viene da chiedersi se il bisogno di distinguere un significato ecclesiastico di perfidus scaturisca davvero dalla lettura dei testi o se nasca piuttosto da preoccupazioni contemporanee.

In effetti è in gioco una posta non mediocre, ben al di là della semplice curiosità filologica. Per secoli, nella liturgia cattolica del Venerdì Santo, si è chiesto ai fedeli di pregare pro perfidis Iudaeis:

Oremus et pro perfidis Judaeis: ut Deus et Dominus noster auferat velamen de cordibus eorum; ut et ipsi agnoscant Jesum Christum Dominum nostrum.
Non respondetur Amen, nec dicitur Oremus, aut Flectamus genua, aut Levate, sed statim dicitur:
Omnipotens sempiterne Deus, qui etiam judaicam perfidiam a tua misericordia non repellis: exaudi preces nostras, quas pro illius populi obcaecatione deferimus; ut, agnita veritatis tuae luce, quae Christus est, a suis tenebris eruantur. Per eumdem Dominum.

MS. Douce 313 f. 138
Nella liturgia venerdì santo la preghiera per gli ebrei
è preceduta da quella per gli eretici (qui
raffigurati mentre disputano dando le spalle all’altare).
Da un messale francescano del XIV sec. (Bodleian Library).

Fino alla seconda guerra mondiale le traduzioni nelle lingue moderne hanno frequentemente reso perfidus con «perfido», senza troppo preoccuparsi di eventuali differenze [3]. Solo nel 1948 si ebbe un intervento ufficiale della Sacra Congregazione dei Riti, la quale dichiarò di «non disapprovare» che nelle traduzioni gli ebrei fossero chiamati «increduli» o «infedeli» (infideles in credendo) e non più «perfidi» [4]. Nel 1959 Giovanni XXIII fece sopprimere ogni riferimento alla perfidia [5]. Sullo sfondo del nostro problema stanno dunque questioni niente affatto banali riguardanti la storia della Chiesa Cattolica e le vicende dell’antisemitismo europeo.

La preghiera pro Iudaeis, parte delle orationes sollemnes del Venerdì Santo, è antichissima. Nel IX secolo gli Ordines Romani ne fanno menzione, con l’indicazione (riservata solo agli ebrei e di cui sembra chiara la valenza polemica) pro Iudaeis non flectuntur genua [6]. Nel Sacramentarium Gelasianum, intorno al 750, era ancora prescritta la genuflessione, successivamente omessa [7]. Ma le origini risalgono ancora più indietro. Nella forma attuale la composizione va probabilmente situata ai tempi di papa Leone Magno e vi sono elementi riconducibili all’epoca di Cipriano [8]. Per capire il valore assunto da perfidus nella letteratura cristiana dobbiamo guardare al periodo fra il III e il V secolo.

Uno sguardo ai dizionari non aiuta a fugare le perplessità. Fin da Plauto perfidia e i termini apparentati (perfide, perfidiose, perfidiosus e appunto perfidus) rimandano in maniera costante a slealtà, falsità e tradimento [9]. Così, perfidia è spesso accostata a malitia [10] o a dolus [11], contraria alla virtù ed elencata fra i vizi nocivi alla città [12]. Se perfidiosus est Amor la battuta successiva è: Ergo in me peculatum facit [13]. Secondo Cicerone, coloro che dicono una cosa e ne fanno un’altra sono perfidi, improbi, malitiosi, ovvero «perfidi», «disonesti», «fraudolenti». Conseguentemente i loro atti risultano macchiati da questi «vizi» [14]. Per Marziale perfida vappa è un vinello scadente che finge di essere un buon vino e «perfido» è il dono mediante il quale Nesso inganna Deianira e conduce Ercole alla morte [15]. Aulo Gellio descrive un lestofante «pieno di perfidie e di frodi» [16]. In tutti questi casi il significato è assai vicino a quello moderno, benché in latino l’accento cada sulla buona fede violata, laddove in italiano è sottolineata l’inclinazione al male [17]. D’altra parte un inganno volto al tradimento è anch’esso, ovviamente, un atto malvagio.

Di fronte ad un uso classico radicato e costante, sorprende constatare come nel dizionario del Blaise tutti i traducenti siano riconducibili a «infedele», «incredulo», «miscredente», «pagano», «eretico» [18]. Lo stesso avviene nel Mediae latinitatis lexicon minus di J.F. Niermeyer [19], mentre il Thesaurus linguae Latinae alle voci perfidia e perfidus opera una netta distinzione fra l’uso originario, quale è stato tratteggiato, e un uso secondario specifico degli scrittori cristiani. È lecito domandarsi cosa sia accaduto fra Aulo Gellio e Cipriano. Sempre che sia davvero accaduto qualcosa.

Né il Du Cange né il Forcellini si erano accorti di questo slittamento semantico e, a ben vedere, pure dal Thesaurus linguae Latinae emerge un punto meritevole di considerazione. Anche nella tarda antichità si è continuato, senza problemi, ad usare perfidus e perfidia nel loro significato tradizionale. Ammiano descrive i Goti fallaces et perfidos, così come un comandante militare proditor erat et perfidus [20]. Per Simmaco l’uomo perfido è mentitore e spergiuro [21]. Non si tratta di autori cristiani, è vero, documentano però un uso che non viene meno. Tra i cristiani forse Tertulliano appartiene a un’epoca ancora troppo precoce quando parla di «omicidio, adulterio, frode, perfidia ed altri delitti» [22], ma anche Leone Magno assimila perfidia e tradimento [23]. In Boezio la perfidia caratterizza la traditrice mutabilità della Fortuna [24]. Isidoro offre la seguente definizione: Perfidus, quia fraudulentus est et sine fide, quasi perdens fidem [25]. Per tutto l’arco temporale che va da Tertulliano a Isidoro l’uso classico ha sempre affiancato quello ecclesiastico di «miscredente» o «infedele». Ma quest’ultimo risulta almeno sufficientemente distinto? In modo da poterne differenziare il senso con chiarezza?

Non si può dubitare di un fatto: da Cipriano in poi vengono sistematicamente designati in tal modo eretici, ebrei e pagani. La perfidia, nella grande maggioranza dei casi, è contrapposta alla fede cristiana, il perfido si oppone al fedele. Gli esempi sono ben attestati dai lessici sopra menzionati e non li ripeteremo qui. Bisogna vedere, tuttavia, se ciò è sufficiente per concludere che i termini hanno perso ogni connotazione spregiativa, come sostengono alcuni studiosi e come viene spesso ripetuto da un’ampia pubblicistica [26].

Osserviamo, in primo luogo, che i significati di «infedele» e di «perfido» sono talvolta difficili da distinguere. Blumenkranz, spesso citato a supporto della tesi secondo cui negli scrittori ecclesiastici la perfidia sarebbe priva di tratti infamanti, aveva però fatto rilevare che in diversi contesti la parola è adoperata in modo deliberatamente equivoco, giocando sull’ambiguità tra il senso religioso di «miscredente» e quello di riprovazione morale [27]. In altri casi è palese la caratterizzazione malevola e bisognerebbe tradurre con «incredulità maligna o persecutrice» [28].

Esaminiamo ora alcuni passi di Cipriano, autore interessante per la sua antichità e per la vicinanza cronologica allo strato originario della preghiera pro Iudaeis. Delitto, menzogna, colpa ricorrono con frequenza nei contesti analizzati. Chi osa dividere la Chiesa è insieme sceleratus et perfidus [29]. Nati tramite la menzogna (per mendacium nati), gli eretici sono altresì de perfidia procreati [30]. Colpa che merita una giusta pena [31], la perfidia è tradimento da cui ci si deve tenere lontani per evitare il contagio del crimine [32]. Degno di nota è il seguente brano, dove la perfidia dei genitori conduce alla perdizione i figli:

Nonne illi [infantes], cum iudicii dies uenerit, dicent: ‘nos nihil fecimus, nec derelicto cibo et poculo domini ad profana contagia sponte properauimus: perdidit nos aliena perfidia, parentes sensimus parricidas: illi nobis ecclesiam matrem, illi patrem deum negauerunt ut, dum parui et inprouidi et tanti facinoris ignari per alios ad consortium criminum iungimur, aliena fraude caperemur’? [33]

Appare qui con chiarezza la distinzione fra due diversi generi di incredulità: quella dei genitori, «perfida» ed assassina, e quella dei figli, che inconsapevoli del «delitto» consumato hanno dovuto subire le scelte dei padri. L’«altrui perfidia» è accostata all’«altrui frode», mediante la quale si è ingannati e spinti ad entrare in un consorzio criminoso. Del resto è l’ostinazione a determinare perfidia ed haeretica pravitas [34]. A venir tacciato di perfidia è l’opporsi pervicace alla fede [35]. Maggiore è la vicinanza, tanto più grande è il tradimento. Secoli dopo Tommaso esporrà con la consueta chiarezza il nodo teologico fondamentale: l’incredulità può essere puramente negativa, per il mero fatto di non aver fede, ma può anche risultare secundum contrarietatem ad fidem, nascendo dal disprezzo e dalla resistenza alla fede. Nel primo caso non è peccato, ma piuttosto pena del peccato originale, nel secondo è addirittura il più grave di tutti i peccati nell’ordine delle virtù morali [36]. Da questo punto di vista, il perfidus, colui che ha pervertito la fede opponendosi al messaggio di salvezza divino, colui che tradisce il Padre e infrange i suoi doveri verso Dio, è senz’altro colpevole di malvagità [37]. A buon titolo va detto «perfido».

Questi rapidi accenni, largamente incompleti, non possono e non vogliono delineare il campo semantico di una famiglia di parole dalla storia così complessa [38]. Ma un punto, sia pure attraverso sondaggi estemporanei e rapsodici, può essere sufficientemente stabilito: fra uso classico ed uso ecclesiastico i confini sono abbastanza sfumati e le sovrapposizioni frequenti, anche negli stessi autori e negli stessi contesti. Manca inoltre qualsiasi attenzione nel distinguerli: non si fa ricorso a clausole esplicative o cautelative che possano ridurre le ambiguità ed evitare i fraintendimenti. Anzi, ambiguità e sovrapposizioni sembrano talvolta volute.

Resta da capire, allora, per quali ragioni si è affermata l’esistenza di una netta discontinuità. Le argomentazioni sono sostanzialmente due. La prima verte sulla constatazione che perfidus e perfidia sono dagli autori cristiani riferiti principalmente a chi non ha la fede e si pone in contrasto con essa. Non si può non riconoscerlo, tuttavia l’inferenza che si vuole trarre da questo fatto è singolare. Nulla infatti impedisce che l’ampliamento della denotazione si accompagni al permanere di tratti della connotazione. Un’espressione può ben essere riferita a una nuova classe di individui conservando il senso originario. E non è strano qualificare il rifiuto dell’annuncio evangelico come una forma di tradimento. Non è cambiato il senso, semmai è una particolare categoria di perfidi a preoccupare in modo speciale i cristiani. Al tradimento si aggiungeva poi la «persecuzione»: dalla crocifissione di Cristo al martirio di Santo Stefano e fino alle persecuzioni romane, la rappresentazione corrente della storia vedeva gli ebrei costantemente impegnati a fomentare l’odio nei confronti dei cristiani [39].

Alla fine, l’unica vera ragione riguarda proprio la liturgia: può una preghiera suonare come un oltraggio? Sembrerebbe impossibile [40]. L’inserimento nella liturgia dovrebbe di per sé garantire che perfidus non veniva ritenuto ingiurioso. Una risposta del genere riposa su mere presupposizioni e appare poco convincente. La risposta dei testi è meno perentoria. Nella messa del giorno precedente al Venerdì Santo si parla di ebrei «carnefici» e consacrando un luogo prima adibito a sinagoga si prega perché sia purgata la sconcezza della superstizione giudaica [41]. «Perfido traditore» viene chiamato Giuda [42]. Né il trattamento degli ebrei sembra alieno da pesanti attacchi, né l’uso liturgico di perfidus appare incompatibile con quello letterario.

Il commento di Cassiodoro al Salmo 58 offre una sorta di compendio del modo di sentire dell’epoca. Le implorazioni dell’innocente nel salmo sono interpretate in riferimento a Cristo e alla passione. Gli ebrei vengono definiti viri sanguinum et dolosi [43], ministri del diavolo [44], induriti nella loro crudele ostinazione [45] e tuttavia pro eis oratio mirabili pietate depromitur: si prega per loro, perché si convertano [46]. Ma non vi sono dubbi sul fatto che siano persecutori [47]. Si prega perché non siano uccisi, eppure lo meriterebbero (ut merebantur) [48]. La preghiera non esclude un giudizio fortemente negativo sulla malvagità di coloro per i quali si prega.

Il consenso formatosi negli anni sul significato di perfidus ha le sue radici in cause estrinseche. Nel 1928 venne disciolta dal Santo Uffizio l’associazione Amici Israel. Fondata due anni prima allo scopo di pregare «per la conversione degli israeliti» e adoperatasi per migliorare le relazioni tra ebrei e cattolici, aveva pubblicato un opuscolo nel quale si criticavano la credenza negli omicidi rituali, la definizione di popolo «deicida», la durezza di certe espressioni tradizionali. A far precipitare gli eventi fu però la proposta di modificare il testo della preghiera pro Iudaeis. Il decreto di soppressione afferma che l’associazione «aveva adottato un modo di operare e di parlare alieno dal senso della Chiesa, dalla mente dei SS. Padri e dalla stessa sacra Liturgia» [49]. La richiesta di una riforma della liturgia del Venerdì di Pasqua rappresentò uno dei motivi essenziali che determinarono l’intervento del Santo Uffizio e un articolo non firmato della Civiltà Cattolica denuncia che i fautori dell’associazione avrebbero voluto attenuare «perfino il linguaggio tradizionale e anche quello usato nella sacra liturgia» [50]. Si trattò certamente di una occasione mancata per la Chiesa, in un momento in cui era già avvertibile il montare della marea antisemita che nel giro di pochi anni avrebbe travolto l’Europa. Le resistenze ad ogni intervento sulla liturgia, cuore della vita cattolica e di tradizione antichissima, furono però straordinariamente forti. Ancora nel 1948, nonostante quanto era successo, Oesterreicher esprimeva scetticismo sulla possibilità di una revisione [51]. È toccato allora agli studiosi cercare una via d’uscita con il reinterpretare una formula imbarazzante. I lavori sopra citati di Peterson (1936) e Oesterreicher (1948) si inseriscono in un quadro nel quale la riforma liturgica sembrava una strada impercorribile ed era al tempo stesso urgente allontanare ogni sospetto di compromissione con l’antisemitismo. Una forma di apologetica, peraltro rispettabile, le cui conclusioni non dovrebbero essere date per garantite.

Web Gallery of Art
Punizione degli ebrei. Da una copia ottocentesca dell’Hortus
deliciarum
di Herrad di Hohenberg (da Web Gallery of Art).

 


NOTE

 

[1] GUILLAUME DE BOURGES, Livre des guerres du Seigneur, introduction, texte critique, traduction et notes par G. Dahan, Paris, Cerf, 1981 (SCh 288), p. 66, n.3. L’autore afferma di essere un ebreo convertito al cristianesimo (olim iudeus). Cfr. B. BLUMENKRANZ, «Perfidia», in ALMA 22 (1952), pp. 157-170; H. DE LUBAC, Exégèse médiévale 2.1, Paris, 1961, pp. 153-181 (tr. it. Esegesi medievale 2.1, Milano, Jaca Book, pp. 210-248).

[2] GUILLAUME DE BOURGES, op. cit., cap. 11, De Iuda traditore, p. 128: Et notandum quia Iudei nuncupati sunt a Iuda patriarcha usque ad Christum; a passione vero Domini et deinceps, vocati sunt a Iuda traditore.

[3] Cfr. J.M. OESTERREICHER, Pro Perfidis Judaeis, in ThS 8 (1947), p. 80 ss. Una delle poche eccezioni con una qualche influenza è offerta da I. SCHUSTER che traduce, senza accennare alla perfidia, «preghiamo per gl’infedeli Giudei» e «non discacci neppure gli stessi Giudei» (Liber sacramentorum, vol. 3, Torino-Roma,- Marietti, 1920, p. 221). Ma non si può dire che questa fosse la soluzione più diffusa fra gli interpreti.

[4] SACRA CONGREGATIO RITUUM, Declaratio (10 Giugno 1948), in Acta Apostolicae Sedis 40 (1948), p. 342: In bina illa precatione qua sancta Mater Ecclesia in orationibus sollemnibus feriae sextae in Parasceve etiam pro populo hebraico Dei misericordiam implorat, haec verba occurrunt: «perfidi iudaei», et «iudaica perfidia». Porro quaesitum est de vero senso istius locutionis latinae, praesertim cum in variis translationibus, ad usum fidelium in linguas vulgares factis, illa verba expressa fuerint locutionibus quae auribus istius populi offensivae videantur. Sacra haec Congregatio, de re interrogata, haec tantum declarare censuit: «Non improbari, in translationibus in linguas vulgares, locutiones quarum sensus sit: “infidelitas, infideles in credendo”».

[5] SACRA CONGREGATIO RITUUM, Variationes in Missali et in Rituali Romano in precibus pro Iudaeis (19 Maggio 1959), in C. BRAGA – A. BUGNINI, Documenta ad instaurationem liturgicam spectantia, 1903-1963, Roma, CLV – Edizioni Liturgiche, 2000, p. 995.

[6] Ordo Romanus 24, 26 (in apparato) e 39, 4, in M. ANDRIEU, Les Ordines Romani du haut moyen âge, vol. 3, Louvain, Spicilegium Sacrum Lovaniense, 1974, pp. 293 e 438. Sulla rubrica cfr. OESTERREICHER, art. cit., p. 87 ss.; M. RIGHETTI, Manuale di storia liturgica, vol. 2: L’anno liturgico, Milano, Àncora, 19693, p. 224; H. AUF DER MAUR, Le celebrazioni nel ritmo del tempo 1, in H. B. MEYER (a cura di), La liturgia della Chiesa, vol. 5, Leumann (Torino), Elledici, 1990, p. 171.

[7] L.C. MOHLBERG (a cura di), Liber sacramentorum Romanae Aeclesiae ordinis anni circuli (Sacramentarium Gelasianum), Roma, Herder, 1968, p. 66, 414-5. Nella rubrica della preghiera si legge Adnunciat diaconus ut supra (ovvero flectamur genua e levate). Prima del Sacramentarium Gelasianum il testo della preghiera si ritrova nel Missale gallicanum vetus (700 circa), edito sempre da Mohlberg (Roma, Herder, 1958, p. 29, 108-9).

[8] SCHUSTER, op. cit., p. 218; RIGHETTI, op. cit., vol. 1, 1964, Introduzione generale, pp. 257-258.

[9] P. G. W. GLARE (ed.), Oxford Latin Dictionary, fasc. 6, Oxford, Clarendon Press, 1977, p. 1338. In Perseus le parole che ricorrono con più frequenza associate a perfidia sono fraus, scelus e scelerus.

[10] PLAUT. mil. glor. 189 os habet, linguam, perfidiam, malitiam atque audaciam, confidentiam, confirmitatem, fraudulentiam; 943 ubi facta erit conlatio nostrarum malitiarum, haud vereor ne nos subdola perfidia pervincamur.

[11] PLAUT. Pseud. 580; cfr. Capt. 522 neque deprecatio perfidiis meis nec male factis fuga est.

[12] PLAUT. Persa 555.

[13] PLAUT. cist. 72.

[14] CIC. de off. 3, 60 omnes aliud agentes, aliud simulantes, perfidi, improbi, malitiosi. Nullum igitur eorum factum potest utile esse, cum sit tot vitiis inquinatus.

[15] MART. epigr. 12, 48, 14 e 9, 65, 8.

[16] GELL. 14, 2, 6 [hominem] plenum… perfidiarum et fraudum.

[17] S. BATTAGLIA (a cura di), Grande dizionario della lingua italiana, vol. 12, Torino, UTET, 1986, pp. 13-16.

[18] A. BLAISE, Dictionnaire latin-français des auteurs chrétiens, Turnhout, Brepols, 1967 (la prima edizione è del 1954).

[19] J.F. NIERMEYER, Mediae latinitatis lexicon minus, Leiden, Brill, 1976. Una più ampia selezione del materiale consente al Novum glossarium mediae latinitatis, curato da F. Dolbeau (Hafniae, Munksgaard, 1998) di documentare per tutto il Medioevo il permanere dei significati di «tradimento», «slealtà», «spergiuro» e simili al fianco dei nuovi.

[20] AMM. MARC. 22, 8 e 18, 3.

[21] SIMM. rel. 3, 5 (MGH AA 6, 1, p. 281) Ubi in leges vestras et verba iurabimus? Qua religione mens falsa terrebitur, ne in testimoniis mentiatur? Omnia quidem deo plena sunt nec ullus perfidis tutus est locus, sed plurimum valet ad metum delinquendi etiam praesentia numinis urgueri.. Cfr. ep. 4, 21, 3 (MGH AA 6, 1, p. 105).

[22] TERTULL. apol. 2, 6 (CCSL 1, p. 88).

[23] LEON. MAGN. serm. 45, 3 (SCh 74bis, p. 94) [Giuda] … fuit sibi materia ruinae et causa perfidiae. Cfr. 47, 4 (SCh 74bis, p. 126) perfidus Iudas, inebriatus veneno; 54, 3 (SCh 74bis, p. 200) perfidia traditoris. Cfr. MAX. TAUR. serm. 49, 94-5 (CCSL 23, p. 194) caveamus perfidum caveamus proditorem.

[24] BOETH. cons. 2, pr. 1, 31 (CCSL 94, p. 18) si perfidiam [fortunae] perhorrescis, sperne atque abice perniciosa ludentem.

[25] ISID. HISP. etym. 10, 222 (PL 82, 391A): «Perfido, in quanto fraudolento e sleale, quasi perdens fidem, ossia che distrugge la parola data» (tr. it. di A.Valastro Canale, Torino, Utet, 2004, p. 857). Sul modo in cui perfidus viene utilizzato da Gregorio Magno al fine di caratterizzare negativamente un personaggio si veda L. CARNEVALE, Totila come perfidus rex tra storia e agiografia, in VetChr 40 (2003), pp. 43-69.

[26] Così secondo E. PETERSON, Perfidia judaica, in Ephemerides liturgicae 50 (1936), pp. 296-311. OESTERREICHER, art. cit., p. 80, aggiunge: «It is our contention that perfidus denotes neither “perfidious” nor faithless nor “infaithful” in their present connotations, but “unbelieving” or “disbelieving”. The liturgy does not pass moral judgements, nor would it label the Jews “treacherous” or “wicked”». DE LUBAC ammette «un contenuto teologico peggiorativo» dell’epiteto, pur ribadendo la tesi secondo la quale non vi è nella liturgia cattolica «alcuna parola ingiuriosa o scortese per gli Ebrei» (op. cit., p. 237). La posizione ha avuto larga diffusione al di fuori dell’ambito accademico, influenzando le scelte della Chiesa Cattolica (come si è detto).

[27] BLUMENKRANZ, art. cit., pp. 160 ss. e 170. Cfr. PETR. CRIS. serm. 102, 5, 59-60 (CCSL 24A, p. 633) sicut fides servos promovet in amicos, ita perfidia filios in poenalem redigit servitutem; CASSIOD. in Ps. 104, 6, 137-8 (CCSL 98, p. 945); AVITO DI VIENNE, Contra Eutychianam haeresim 1 (MGH AA 6, 2, p. 19).

[28] BLUMENKRANZ, art. cit., pp. 160-1. Cfr. CASSIOD. in Ps. 63, 7, 140-1 (CCSL 97, p. 559); 82, 1, 25 (CCSL 98, p. 762); ISID. HISP. de fide cathol. 1, 4, 12 (PL 83, 460A) perniciosa Iudaeorum perfidia. Blumenkranz disegna un quadro non univoco e non privo di ombre, esprimendo serie riserve sui lavori di Peterson ed Oesterreicher (p. 157). Ciononostante sotto il suo nome viene in genere esposta la posizione dei due precedenti studiosi.

[29] CIPR. unit. 8, 190 (CCSL 3, p. 255).

[30] CIPR. unit. 11, 276-8 (CCSL 3, p. 257). L’accostamento di perfidia e menzogna continua ad essere comune anche fra gli scrittori cristiani: cfr. CIPR. unit. 5, 123-6 (CCSL 3, p. 252); AMB. Tob. 8, 32 (PL 14, 770C): fenus enim radix mendacii, causa perfidiae est; LEON. MAGN. serm. 52, 1 (SCh 74bis, p. 174) catholica integritas nec maculam perfidiae, nec rugam potest habere mendacii.

[31] CIPR. unit. 14, 362 (CCSL 3, p. 260): poena perfidiae.

[32] CIPR. unit. 22, 538-40 (CCSL 3, p. ab eorum perfidia segregati… a contagione criminis recesserunt; cfr. MAX. TAURIN. serm. 75, 25-6 (CCSL 23, p. 313) perfidia criminosum facit.

[33] CIPR. de lapsis 9, 175-181 (CCSL 3, p. 225).

[34] CIPR. epist. 51, 1, 6-7 (CCSL 3B, p. 240) [unitas et sanctitas ecclesiae] nec in totum perfidiae et haereticae pravitatis obstinatione violetur. Cfr. CASSIOD. in Ps. 17, 41, 599-600 (CCSL 97, p. 165) in perfidiae suae obstinatione manserunt; GREG. MAGN. moral. 29, 29, 56 (CCSL 143B, p. 1474) primum Iudaea Deo credidit, gentilitate omni in perfidiae suae obstinatione remanente; postmodum vero ad fidem gentilium corda mollita sunt, et Iudaeorum infidelitas obdurata; PETR. CRIS. serm. 65, 32-33 (CCSL 24A, p. 385): perfidiae saxum, silicem durae incredulitatis.

[35] Al carattere di volontaria ostinazione della perfidia accennano, sia pure di passaggio, OESTERREICHER, art. cit., p. 81 e BLUMENKRANZ, art. cit., p. 158.

[36] THOM. AQUIN. S. Th. II-II, q. 10, a. 1 e 3 Unde manifestum est quod peccatum infidelitatis est maius omnibus peccatis quae contingunt in perversitate morum. In assoluto l’odio di Dio, che si oppone alla virtù teologale della carità, è il peccato più grave, comprendendo e superando la stessa infedeltà (cfr. q. 34, a. 2, ad 2).

[37] Cfr. MAX. TAUR. serm. 49, 33-5 (CCSL 23, p. 193): Iniuria autem salvatoris est incredulitas synagogae. Ergo Petri navem elegit Moysi deserit, hoc est spernit synagogam perfidam fidelem adsumit ecclesiam.

[38] Una storia e uno slittamento semantico che rimangono abbastanza oscuri. Cfr. O. WEIJERS, Some Notes on «Fides» and related Words in Medieval Latin, in ALMA 40 (1975-6), p. 93.

[39] R. GONZÁLEZ SALINERO, «Sinagogae Iudaeorum, fontes persecutionum»? Il supposto intervento degli ebrei nelle persecuzioni anticristiane durante l’Impero Romano, in VetChr 43 (2006), pp. 93-104. Nel negare la fondatezza delle accuse González Salinero osserva che esse si inseriscono «nella tradizione teologica cristiana secondo la quale la perfidia del popolo ebraico si sarebbe manifestata, nel corso della storia, nel suo carattere criminale e nella sua speciale avversione contro il movimento cristiano» (p. 104).

[40] DE LUBAC, op. cit., p. 237; OESTERREICHER, art. cit., pp. 80 e 86-87.

[41] Sacramentarium Gelasianum 392: ad lanianda membra eius Iudeos carnifices advocabat (MOHLBERG, 1968, p. 64); 724-5: iudaici supersticionis foeditate detersa (MOHLBERG, 1968, p. 114).

[42] A. DUMAS (a cura di), Liber sacramentorum Gellonensis 2007 (CCSL 159, p. 270): traditori perfido pium dedisti osculum.

[43] CASSIOD. in Ps. 58, 3, 91-2 (CCSL 97, p. 521) merito viri sanguinum dicti sunt. Cfr. 57, 10, 161-164 (CCSL 97, p. 517).

[44] CASSIOD. in Ps. 58, 2, 68 (CCSL 97, p. 520).

[45] CASSIOD. in Ps. 58, 7, 186 (CCSL 97, p. 523).

[46] CASSIOD. in Ps. 58, 1, 56-7 (CCSL 97, p. 520) quemadmodum in fine saeculi convertendi sint iudaei, et pro eis oratio mirabili pietate depromitur.

[47] CASSIOD. in Ps. 58, 18, 426 (CCSL 97, p. 529): pro persecutoribus tuis semper oraveris.

[48] CASSIOD. in Ps. 58, 12, 286-94 (CCSL 97, p. 525) Precatur ergo ne gens iudaeorum funditus pereat […] ne occideris eos; nam si fuissent, ut merebantur, exstincti, spes conversionis eorum funditus interiisset.

[49] Acta Apostolicae Sedis 20 (1928), pp. 103-104; La Civiltà Cattolica 79 (1928), pp. 171-2. Sul contesto storico si veda G. MICCOLI, “Santa Sede, questione ebraica e antisemitismo fra Otto e Novecento”, in Storia d’Italia. Annali 11.2: Gli ebrei in Italia, a c. di C. Vivanti, Torino, Einaudi, 1997, p. 1369-1574 (su Amici Israel cfr. p. 1565).

[50] [E. ROSA], Il pericolo giudaico e gli «Amici d’Israele», in La Civiltà Cattolica 79 (1928), p. 344. L’importanza della discussione sulla liturgia nelle vicende che portarono alla soppressione della società è messa in rilievo da H. WOLF, “Pro perfidis Judaeis”. Die “Amici Israel” und ihr Antrag auf eine Reform der Karfreitagsfürbitte für die Juden (1928), in Historische Zeitschrift 279 (2004), pp. 611-658; T. SALEMINK, Katholische Identität und das Bild der jüdischen ‘Anderen’. Die Bewegung Amici Israel und ihre Aufhebung durch das Heilige Offizium im Jahre 1928, in theologie.geschichte. Zeitschrift für Theologie und Kulturgeschichte 1 (2006).

[51] OESTERREICHER, art. cit., p. 95: «The Church will hardly alter the words perfidia judaica» [nella preghiera del Venerdì Santo].

 


 

Keywords: pro perfidis Iudaeis, Blumenkranz, Oesterreicher, Peterson, antisemitism