Un medioevo incredulo

 

Pierpont Morgan Library, ms. M.780, f. 39v
Incredulità di S. Tommaso,
XI sec. (da Corsair)

 


Mediaeval Sophia
(3/2008), la rivista on line dell’Officina di studi medievali, ospita un mio intervento su incredulità e scetticismo tra XII e XIII secolo: Guglielmo Russino, Un medioevo incredulo. A proposito di scetticismo e imposture. Si fa riferimento, fra l’altro, alla leggenda dei “tre impostori” (Mosè, Gesù e Maometto) che avrebbero ingannato i loro popoli per sottometterli al potere religioso. Federico II fu accusato di diffondere questa storia e lo stesso accadde per Simone di Tournai, uno dei principali maestri parigini alla fine del XII secolo. Qui di seguito trovate l’abstract e il testo con alcune correzioni. L’articolo originale è liberamente scaricabile dal sito di Mediaeval Sophia previa registrazione.

Ateismo, materialismo e indifferentismo non sono sconosciuti nel medioevo. Per quanto le accuse di incredulità (spesso scagliate per ragioni polemiche) da sole non bastino a dimostrare che gli accusati abbiano davvero sostenuto le posizioni loro attribuite, possiamo constatare che scetticismo e indifferentismo religioso non erano al di fuori dell’orizzonte mentale del comune uomo medievale. La leggenda dei “tre impostori” ne offre un esempio che sarà ripreso dal pensiero libertino in età moderna.

Atheism, materialism and indifferentism are not unknown in the Middle Ages. Though accusations of incredulity (often made for polemic reasons) are not enough by themselves to show that the accused really upheld the positions attributed to them, we can ascertain that scepticism and religious indifferentism were not outside the mental horizon of the common medieval man. The legend of the three impostors offers an example that was to be taken up by libertine thought in the modern age.

 


UN MEDIOEVO INCREDULO

 

Pagano
Messale romano, Missa contra paganos
Bologna, ca. 1370 (da Enluminures).

 

In ogni epoca le idee predominanti emergono e si definiscono sullo sfondo di un vasto retroterra di tendenze meno appariscenti, spesso confuse, contraddittorie e incerte. E sempre abbiamo a che fare con credenze in contrasto fra di loro. Volendo descrivere un periodo il cartografo delle mentalità non può soltanto limitarsi a collezionare i loci communes. Deve inquadrare il campo di variabilità, definire gli estremi, annotare i picchi e gli addensamenti e, soprattutto, individuare le aree di tensione.

Certo, la marginalità resta tale. Enfatizzare in misura eccessiva aspetti secondari può condurre fuori strada. D’altronde può accadere lo stesso se, troppo concentrati sul medioevo “età della fede”, perdiamo di vista il panorama globale. Così non è inutile rammentare che persino ateismo, materialismo e indifferentismo rientravano nelle possibilità concettuali dell’uomo medievale. Un bel libro di J. H. Arnold (Belief and Unbelief in Medieval Europe, London, Hodder Arnold, 2005) si preoccupa di mettere in luce, a fianco di ciò che si crede, pure quel che può essere classificato come Unbelief nei lunghi secoli dell’età di mezzo. Ne risulta una ricostruzione affascinante e vivida della religiosità medievale, nella quale le tendenze principali del periodo si delineano in un contesto fatto di opacità, resistenze e aperti conflitti.

Belief and Unbelief

Sarebbe davvero curioso se per un tratto della storia umana ogni forma di scetticismo, indifferentismo o razionalismo fosse del tutto scomparsa. Non desta quindi meraviglia che un numero sempre maggiore di medievisti faccia riemergere figure ed episodi poco conformi agli usuali cliché. Le Roy Ladurie aveva già mostrato come nel cuore del catarismo si incontrino manifestazioni di eterodossia del tutto inattese, debitamente registrate dagli inquisitori (a testimonianza del fatto che quando si voleva scavare si finiva sempre col trovare qualcosa). Le comunità locali permettevano una gamma di “filosofie” individuali, spesso radicate nel substrato folklorico, assai più ampia di quel che farebbero pensare i nostri stereotipi storiografici. L’incredulità, “raramente totale, spesso parziale”, è diffusa nelle valli intorno a Montaillou. Un contadino crede che l’anima non sia altro che sangue [1]:

E sicuramente questa anima sanguigna si riduce a nulla dopo la morte. Raymond de l’Aire non crede alla resurrezione. D’altronde quello che dicono i preti è una burla. Il paradiso è quando si sta bene in questo mondo; l’inferno quando si sta male! Ecco tutto.

Forme di “spinozismo selvaggio” sono altrimenti attestate. Il contadino di cui abbiamo sopra parlato condivide con altri l’idea che Dio e la Vergine non sono altro che il mondo in cui viviamo. Un tale materialismo radicale non è affatto isolato. Giordano da Pisa, dal convento di Santa Maria Novella, lamentava davanti ai contemporanei di Dante che Molti ne sono ogi i quali non credono che altra vita sia o che meglio vi possa essere che questa… [2]

Non si può nemmeno dire che tali bizzarrie non avessero alcun rilievo nella discussione accademica. Rolando da Cremona inizia il suo commento al libro di Giobbe spiegando perché ritiene opportuno anteporre una dimostrazione filosofica dell’immortalità dell’anima. [3] La ragione è la seguente:

Quoniam multi sunt qui credunt animam humanam esse corruptibilem et simul mori cum morte sui organi, nec non plerique qui hoc dubitant, […] idcirco nobis visum est esse utile […] philosophie ponere rationes de anime humane immortalitate.

Multi sunt che credono l’anima venir meno con la morte del corpo, nec non plerique sono incerti al riguardo. Evidentemente il dubbio, persino sulla immortalità dell’anima, non doveva essere così infrequente. In realtà è difficile sorprendersi di qualcosa che dovremmo dare per scontato. Più interessante è un altro fatto: questa incredulità sotterranea preoccupava la chiesa assai meno dell’eresia. [4] Eppure non mancano, di tanto in tanto, denunce clamorose.

Distruzione di un idolo
Distruzione di un idolo.
Francia, ca. 1335 (da Mandragore).

 

Alla fine del XII secolo Simone di Tournai (†1201) è uno dei più influenti maestri parigini. Traspare dai suoi scritti una punta di ironia, forse anche di orgoglio. L’uso di Abelardo, Gilberto Porretano, Giovanni Scoto ed Aristotele poteva allarmare i teologi più conservatori, ma per quanto capace di affermazioni provocatorie (come quella secondo la quale sono stati erroneamente canonizzati molti dannati) ben poco nella sua opera giustifica i sospetti di eterodossia circolanti dopo la sua morte. [5]

Alcuni aneddoti ne mettono in mostra il carattere aspro e i conflitti con il potere ecclesiastico. Di mediocre e accidentata carriera nella chiesa, penò a lungo per ottenere una rendita. Recatosi a Roma cercò invano udienza presso il papa. Indignato dalla venalità della curia romana avrebbe esclamato pubblicamente che «non si entra da Simon Pietro senza passare da Simon Mago». [6]

La storia è riportata dal suo contemporaneo Gérald de Barry (o Giraldus Cambrensis, †1220), secondo il quale Simone aveva opinioni non corrette sugli articoli di fede e le esprimeva senza timori in privato sebbene non osasse esporle in pubblico. Si sarebbe spinto fino a proferire le seguenti parole: «Dio onnipotente, per quanto a lungo durerà questa setta superstiziosa dei cristiani, questa nuova invenzione?». La punizione divina non poteva tardare: la notte stessa fu colpito, forse da un ictus, perdendo le sue facoltà mentali e ritrovandosi nelle condizioni di un bambino incapace di leggere e scrivere. [7]

La nostra fonte riconosce che non vi era alcuna accusa formale nei suoi riguardi ed è probabile che si trattasse solo di dicerie, alla base delle quali potrebbe esserci ben poco. L’immagine di un uomo tra i più sapienti della sua epoca divenuto di colpo un balbuziente analfabeta era da sola sufficiente ad eccitare l’immaginazione dei contemporanei. Una malattia così opportunamente appropriata doveva per forza essere la conseguenza di qualche grave peccato e in assenza di accuse note si sarebbe speculato su quali cause lo avessero condotto a un tale destino, magari inferendole dal carattere. La storia si prestava a diventare un exemplum di grande suggestione e di enorme potenziale simbolico. Infatti ne furono offerte versioni differenti, aventi in comune solo il drammatico epilogo.

Qualche anno più tardi Matteo Paris (†1259) la racconta in altro modo. Dovendo Simone rispondere ad alcuni difficili quesiti riguardanti la Trinità, si radunò una gran folla di studenti di teologia, convenuti per ascoltarlo. Le soluzioni offerte furono talmente chiare, eleganti e cattoliche da far rimanere tutti stupefatti. Alla fine, mentre si assiepavano intorno a lui gli ascoltatori entusiasti, Simone asserì temerariamente che sarebbe stato capace di provare il contrario di quanto appena dimostrato con ragioni ancora più forti, se avesse voluto confutare la legge divina. A tale atto di superbia seguì immediata la punizione: perse di colpo la parola e il sapere, riducendosi ad imparare faticosamente dal figlioletto, nel tempo rimastogli da vivere, il Pater noster e il Credo. [8]

In Matteo Paris è messa in evidenza la superbia, l’orgoglio intellettuale del maestro, che pretende di sottomettere anche le cose più sacre alla forza della sua dialettica. Un certo relativismo dottrinale è forse implicito in una posizione del genere, ma siamo lontani dal virulento attacco anticristiano attribuito a Simone nella precedente testimonianza.

Più vicina a quella di Gérald de Barry (e di più diretto interesse per noi) è la terza versione della storia. La riferisce il domenicano Tommaso di Cantimpré (†1263), secondo il quale Simone, alla fine di una disputa scolastica, giunse a sostenere che Mosè, Gesù e Maometto con le loro sette e i loro dogmi avevano soggiogato il mondo: Tres sunt, inquit, qui mundum sectis suis & dogmatibus subiugantur: Moyses, Iesus & Mahometus. [9] Appena finito di pronunciare tali parole pro humana voce mugitum emisit e cadde in una sorta di mutismo, privato di tutta la sua scienza e capace di ripetere solo il nome della sua concubina. Siamo di fronte a una fra le prime attestazioni del tema dei “tre impostori”, divenuto celebre in età moderna. [10]

Apocalisse
Et vidi de mari bestiam ascendentem (Ap. 13,1)
Inghilterra, ca. 1255 (da Corsair).

 

È dubbio che una tale dottrina possa essere ascritta a Simone. Negli anni in cui scrive Tommaso di Cantimpré la storia già circolava in riferimento a ben altri personaggi. Nel 1239, dopo che Federico II di Svevia era stato scomunicato, papa Gregorio IX pubblica una violentissima enciclica che inizia evocando la bestia dell’Apocalisse (ascendit de mari bestia blasphemie plena nominibus, Ap. 13, 1) e descrive l’imperatore come iste, qui gaudet se nominari preambulum Antichristi. [11] Fra i tanti crimini commessi gli rinfaccia di affermare che il mondo era stato ingannato da tre furfanti, dei quali Mosè e Maometto erano morti fra gli onori, mentre Gesù era morto in croce come un malfattore. [12] All’accusa rispose un’indignata lettera di Federico, conservata nell’epistolario di Pier delle Vigne. [13] In questa lettera aperta, indirizzata a tutti i prelati (universis prelatis), si rimprovera al papa di calunniare l’imperatore attribuendogli parole da lui mai pronunciate sui “tre seduttori” dai quali il mondo sarebbe stato ingannato.

Quali che siano le origini della storia, probabilmente anch’esse come per la parabola dei tre anelli rintracciabili nel milieu islamico, [14] si tratta di una testimonianza preziosa sull’esistenza di forme di critica religiosa e, al tempo stesso, di indifferentismo: si attaccano le tre principali religioni considerandole tutte ugualmente false.

Forse sembrerà eccessivo parlare di “indifferentismo” dottrinario, quasi ci fosse dietro una matura consapevolezza filosofica. Si può dubitare che in parole del genere una mente medievale riuscisse a scorgere solo una volgare dimostrazione di blasfemia. Dopotutto il pericolo di anacronismi è sempre in agguato. Nel caso si avessero di queste incertezze, viene in nostro aiuto un autorevole maestro universitario, che possiamo supporre capace di valutare in modo accurato le implicazioni concettuali di un discorso. Nelle Quaestiones disputate de fide Matteo di Acquasparta polemizza contro quegli scettici che non credono in alcuna verità indiscutibile e per i quali nihil est peccatum, nisi quod est contra consuetudinem. Costoro, mentre indifferentemente (indifferenter) ritengono valide tutte le leggi, allo stesso tempo tutte quante le distruggono. [15] Con ogni evidenza abbiamo di fronte una forma, ben delineata, di indifferentismo. Ebbene, subito dopo Matteo aggiunge: Istius erroris dicitur fuisse Fridericus, qui fuit imperator; qui omnes legatores reputabat truffatores. Senza la minima esitazione l’errore di Federico viene ricollegato a un’opzione filosofica di indole scettica. Siamo al di là della bestemmia occasionale, della boutade detta allo scopo di impressionare. Il maestro francescano non ha dubbi nel vedere qui una manifestazione di indifferentismo ideologico.

Federico II
Raccolta di scritti di medicina
con dedica a Federico II, XIII secolo
(Montpellier, Bibliothèque interuniversitaire)
 

È pur vero che, diversamente da quanto avviene per la parabola dei tre anelli, dei “tre impostori” abbiamo solo attestazioni in negativo. Mentre la prima darà luogo a una tradizione narrativa che la proporrà al pubblico europeo con una certa simpatia, non abbiamo nel Medioevo testimonianze dei “tre impostori” che non considerino blasfema la storia. Ci si riferisce ad essa per accusare di empietà qualcuno o per difendersi dall’accusa di averla sostenuta. Tuttavia, seppure in questa forma indiretta, la storia era conosciuta, veniva diffusa e circolava. Sicuramente destava scandalo e riprovazione per la sua blasfemia, ma non avrebbe avuto udienza se non avesse colpito l’immaginazione dei contemporanei. In entrambi i casi esaminati, di Simone e di Federico, la storia è stata utilizzata al fine di gettare cattiva luce sui destinatari dell’accusa. Ad ogni modo tali episodi testimoniano la circolazione − anche a livello di aneddotica − di un tema polemico che diventerà uno dei cavalli di battaglia del successivo libertinismo intellettuale.

 


NOTE

[1] E. LE ROY LADURIE, Storia di un paese: Montaillou, tr. it di G. Bogliolo, Rizzoli, Milano 1998, p. 376.

[2] A. MURRAY, Piety and Impiety in Thirteenth-Century Italy, in G. J. CUMING – D. BAKER (eds.), Popular Belief and Practice, Cambridge University Press, Cambridge 1972, pp. 83-106. La citazione è a p. 102. Murray enumera un ricco campionario di empietà denunciate come correnti nelle prediche medievali. Molte di esse sono riconducibili a forme di scetticismo. Ad esempio la transustanziazione nel miracolo eucaristico − riconoscono i predicatori − «pare dura cosa a credere» (p. 99). L’articolo di Murray ha profondamente influenzato una serie di contributi successivi. D. WOOTTON, Lucien Febvre and the Problem of Unbelief in Early Modern Europe, in «Journal of Modern History» 60 (1988), pp. 695-730, ha messo in guardia da interpretazioni semplicistiche della celebre tesi di L. FEBVRE (Il problema dell’incredulità nel secolo XVI. La religione di Rabelais, tr. it. di L. Curti, Einaudi, Torino 1978), secondo la quale non si può parlare di ateismo prima dell’Illuminismo. Se possiamo concordare sul fatto che prima del XVIII secolo non vi era un quadro intellettuale compatibile, ciò non toglie che singoli atei (per quanto poco influenti) ci siano stati. J. EDWARDS ha mostrato esempi di incredulità nella Spagna di Torquemada: Religious Faith and Doubt in Late Medieval Spain: Soria circa 1450-1500, in «Past and Present» 120 (1988), pp. 3-25. S. REYNOLDS ha fornito un’eccellente sintesi della questione, approfondendone il significato storiografico: Social Mentalities and the Case of Medieval Scepticism, in «Transactions of the Royal Historical Society» 6th ser., 1 (1991), pp. 21-41. Cfr., da prospettive diverse, F. NIEWÖHNER – O. PLUTA (hrsg.), Atheismus im Mittelalter und in der Renaissance, Harrassowitz, Wiesbaden 1999.

[3] A. DONDAINE, Un commentaire scripturaire de Roland de Cremone: le Livre de Job, in «Archivum fratrum praedicatorum» 11 (1941), p. 113.

Mandragore
Musulmano distrugge un idolo.
Iraq, XIV sec. (da Mandragore).

 

[4] Cfr. B. HAMILTON, Religion in the Medieval West, Arnold, London 1986, p. 190: «It is not surprising that there should have been people who reacted against the whole ethos of medieval society by denying the importance of the church’s teaching and by taking self-interest alone as a sufficient guide for their lives. Naturally the devout among their contemporaries were deeply shocked by the open avowal of such sentiments, but the church authorities on the whole accepted the situation, treated these men as lapsed Catholics who had a right to Christian burial, and did not seek to discipline them unless, like Raymond de l’Aire, they were suspected of associating with heretics».

[5] SIMONIS TORNACENSIS Disputatio 92, q. 4: Multi enim damnati errore Ecclesiae sunt canonizati. Su Simone si vedano le pagine introduttive di J. Warichez al testo delle Disputationes: J. WARICHEZ, Les Disputationes de Simon de Tournai. Texte inédite, Spicilegium Sacrum Lovaniense, Louvain 1932.

[6] GIRALDI CAMBRENSIS Gemma Ecclesiastica, d. 1, 51, (in Opera II, edited by J. S. Brewer, London 1862, p. 149): Profectus enim ad curiam romanam fuerat, et quoniam aditum ad dominum papam pro libitu habere non poterat, in audientia cancellarii magnorumque de curia virorum verbum hoc insolenter emisit: “Non intratur ad Simonem Petrum nisi per Simonem Magum”; vel sic “Simon Tornacensis intrare nequit ad Simonem Petrum nisi per Simonem Magum”. Unde dominum papam et totam curiam adeo offensam reddidit, quod nihil ibi vel parum proficere poterat.

[7] Ibid.: multarum vir erat literarum, sed circa fidei articulos non sane sentiebat, et hoc, quia publice non ausus fuerat, coram privatis, tamen plurimis, profiteri non verebatur. Hic, cum aliquando in tantam rabiem raperetur, ut etiam in fidem Christianam inveheretur, inter cætera, nonnullis audientibus, et hoc, ut dicitur, ore blasphemo, non minus impudenter quam imprudenter, verbum emisit, “Deus omnipotens, superstitiosa Christianorum hæc secta, et novella nimis hæc adinventio quamdiu durabit!” et nocte eadem experrectus a somno, divina statim ultione secuta, se sine literis fere infatuatum pariter et elinguem invenit, et sic usque ad obitum permansit inutilis et imbecillis.

[8] MATTHÆI PARISIENSIS Chronica Majora II, ad annum 1201 (Rolls Series 57, 2), ed. by H. Richards Luard, Longman & Co., London 1874, pp. 476-477: De magistro Simone de Turnai. Ipsis quoque diebus, quidam magister Parisiensis natione Francus, nomine Simon, cognomento de Thurnai, ingenio capacissimus et memoria tenacissimus, cum per decennium scholas artium nobilissime rexisset, utpote in trivio et quadrivio, id est, septem liberalibus artibus peritissimus, se contulit ad theologiam; in qua cum lecturisset infra paucos annos, adeo profecit, quod dignissime cathedram ascendit magistralem. Legit igitur subtiliter valde et subtilius disputavit, quæstiones difficillimas et inauditas solvendo et eleganter dilucidando; tot igitur habuit auditores, quot amplissimum palatium potuit continere; una igitur dierum cum nimis profundis rationibus in medium propositis de Trinitate subtilissime disputasset, et dilata fuisset determinatio usque in crastinum, omnes theologi scolares in civitate, præmuniti ad audiendum tot quæstionum inexplicabilium solutiones, ad ipsius famosam scolam certatim ac catervatim confluxerunt. Determinavit igitur magister omnes praetactas quaestiones; et quae videbantur omnibus inenodabiles, tam dilucide, tam eleganter, tam catholice, ut omnes auditores redderet stupefactos. Et post determinationem accesserunt quidam ipsius familiariores et ad discendum avidiores, postulantes a magistro, ut eo dictante quaestiones illas literis commendarent; dixerunt itaque indignum esse et jacturam irrestaurabilem, si memoria tantae scientiae deperiret. Quibus ipse elatus, et major sibi se, ait oculis sullevatis et temere solutus in caehinnum, “O Jesule, Jesule, quantum in hac quaestione confirmavi legem tuam et exaltavi; profecto si malignando et adversando vellem, fortioribus rationibus et argumentis scirem illam infirmare et deprimendo improbare.” Et hoc dicto, elinguis penitus obmutuit, non tantum mutus, sed idiota et ridiculose infatuatus, nec postea legit vel determinavit, et faetus in sibilum et derisum omnibus qui hoc audierant. Vix igitur infra biennium didicit literas cognoscere, et ultione aliquantulum mitigata, a filio suo quodam diligenter edocente, vix potuit Pater noster et Simbolum discere, retinere, et balbutiendo pronunciare. Hoc igitur miraculum mulorum scolarium suppressit arrogantiam et jactantiam refraenavit. Una versione più breve dello stesso testo si trova in MATTHÆI PARISIENSIS Historia Anglorum (o Historia minor) II (Rolls Series 44, 2), ed. by F. Madden, Longmans & Co., London 1866, p. 90.

[9] THOMAE CANTIPRATANI Bonum universale de apibus II, 48, Ex typographia Baltazaris Belleri, Duaci 1627, pp. 440-441: De Simone Tornacensi, Doctore Parisiensi superbo et incontinente, qui post blasphemiam mirabiliter a deo percussus est. […] in execranda contra Christum blasphemiae verba prorupit. Tres sunt, inquit, qui mundum sectis suis & dogmatibus subiugantur: Moyses, Iesus & Mahometus. Moyses primo Iudaicum populum infatuavit. Secundo Iesus Christus a suo nomine Chri- stianos. Tertio Gentilem populum Mahometus. Nec mora, eversis oculis pro humana voce mugitum emisit, et epilepsia statim elisus in terram, die tertio eiusdem morbi vindictam accepit. […] Et vide supremae admirationis miraculum. Aleydem fornicariam concubinam suam nominare poterat, et sciebat: Boetium vero de Trinitate qui iuxta eum ad spectaculum ponebat, quem olim cordetenus scierat, post inditam plagam, nec nominare noverat, nec volebat.

Tre impostori

[10] Dopo il fondamentale articolo di M. ESPOSITO, Una manifestazione d’incredulità religiosa nel medioevo. Il detto dei «Tre impostori» e la sua trasmissione da Federico II a Pomponazzi, «Archivio storico italiano» serie VII, vol. XVI, anno LXXXIX, (1931), pp. 3-48 si veda ora T. GRUBER, The Three Impostors. Travels of a Radical Idea in the 13th Century, comunicazione tenuta in occasione del IV Congrès Européen d’Études Mèdiévales, Palermo, 23-27 giugno 2009. Per una storia complessiva dell’idea si può ricorrere a G. MINOIS, Il libro maledetto, tr. it. di S. Arena, Rizzoli, Milano 2009. Sulla sua fortuna in età moderna cfr. l’introduzione di S. BERTI all’anonimo Trattato dei tre impostori. La vita e lo spirito del signor Benedetto de Spinoza, a c. di S. Berti, Einaudi, Torino 1994. Utile anche G. PAGANINI, Filosofie clandestine, Laterza, Roma-Bari 2008.

[11] MGH epistolae selectae I, n. 750, pp. 645-654.

[12] Op. cit., p. 653: iste rex pestilentie a tribus barattatoribus, ut eius verbis utamur, scilicet Christo Iesu, Moyse et Machometo, totum mundum fuisse deceptum, et duobus eorum in gloria mortuis, ipsum Iesum in ligno suspensum manifeste proponens.

[13] PETRI DE VINEIS epistolarum libri I. 31, per Paulum Quecum, Basileae 1566, p. 211: Inseruit enim falsus Christi Vicarius, fabulis suis, nos Christianae fidei religionem recte non colere, ac dixisse tribus seductoribus mundum esse deceptum: quod absit de nostris labijs processisse. Si veda pure J.- L.-A. HUILLARD-BRÉHOLLES, Historia diplomatica Friderici Secundi V. 1, Plon, Paris 1857, p. 349. Su tutto l’episodio cfr. E. KANTOROWICZ, Federico II, Imperatore, tr. it. di G. Pilone Colombo, Garzanti, Milano 2000, pp. 493-494 (peraltro non esente da qualche imprecisione).

[14] L. MASSIGNON, La légende de tribus impostoribus et ses origines islamiques, in «Revue de l’Histoire des Religions» 82 (1920), pp. 74-78; P. MARCOLINI, Le De tribus impostoribus et les origines arabes de l’athéisme philosophique européen, in «Les Cahiers de l’ATP», octobre 2003. Parallelo al tema dei tre impostori, ma con esiti differenti, si diffonde il tema dei tre anelli. Si veda in particolare BOCCACCIO, Decameron I, 3. Sulle sue origini cfr. M. PENNA, La parabola dei tre anelli e la tolleranza nel medio evo, Rosenberg & Sellier, Torino 1953; I. SHAGRIR, The parable of the Three Rings: a revision of its history, in «Journal of Medieval History» 23 (1997), pp. 163-177; F. SOSIO, La parabola dei tre anelli nella tradizione letteraria e religiosa dell’Occidente medievale, in «Rivista di storia del cristianesimo» 4 (2007), pp. 49-71.

[15] MATTHAEI AB AQUASPARTA Quaestiones octo de fide, q. 3, in Quaestiones disputatae selectae, Ad Claras Aquas (Quaracchi), 1903, p. 82: Respondeo dicendum, quod circa istam quaestionem erraverunt aliqui, dicentes, quod nulla est lex, nulla. est fides firma aut stabilis, sed in omni secta quidquid credatur, quomodocumque vivatur, potest obtineri salus, dummodo non abhorreat a consuetudine. Et isti ponunt, quod nihil est peccatum, nisi quod est contra consuetudinem. Sed dum indifferenter astruunt omnem legem, omnem legem destruunt. – Istius erroris dicitur fuisse Fridericus, qui fuit imperator; qui omnes legislatores reputabat truffatores. Iste error pessimus est et periculosissimus inter omnes errores, quia aperit viam peccatis, concedit licentiam malefaciendi et praecludit viam virtutibus, implicat contradictoria, dum ponit, idem esse virtutem et vitium, idem verum et falsum, nullum posse errare, nullum posse peccare; aufert divinum cultum, aut ponit, Deum vitiis et spurcitiis coli; quae omnia istum errorem, absurdissimum reddunt. Et ideo veritas sana dictat, et ratio recta confirmat, indubitanter asserendum, aliquam esse fidem et legem fixam et stabilem, quam non licet sine detrimento salutis transgredi, et illam dictat esse unam solam omnibus gentibus communem, ita quod in nulla alia salus est.

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