dionysiana

filosofia, religioni e laicità

Categoria: recensioni

Un esempio medievale di dialogo interreligioso (1)

Chiesa e Sinagoga
nell’iconografia medievale

chiesa e sinagoga
Fig. 1
La chiesa e la sinagoga

Nella fig. 1 è riprodotta una miniatura del XII secolo. È tratta da un pontificale conservato a Reims (BM ms. 342, f. 11v). Vi si vede la Sinagoga, a sinistra, rappresentata con una benda sugli occhi (secondo un modello assai comune nell’iconografia del tempo), a indicare la sua cieca ostinazione nel rifiutare Cristo. La corona le viene strappata via dalla Chiesa: per il miniaturista tanto la corona di Davide (simbolo dell’elezione divina) quanto le sacre scritture appartengono legittimamente, oramai, solo a quest’ultima. La T simboleggia la croce, di cui gli ebrei vengono ritenuti responsabili. In altre raffigurazioni la Sinagoga, sempre bendata, tiene fra le mani una lancia spezzata, si veda ad esempio la statua in pietra della cattedrale di Strasburgo (figg. 2 e 3). Nel Pontificale del XIII secolo conservato a Montpellier (Faculté de Médecine, ms. 399, f. 308) la lancia fa sgorgare il sangue dal petto dell’agnello mistico sul tau (fig. 4). Sul tema dell’ebreo e della sinagoga nell’iconografia cristiana medievale si veda B. Blumenkranz, Il cappello a punta. L’ebreo medievale nello specchio dell’arte cristiana, tr. it. a cura di C. Frugoni, Roma-Bari, Laterza, 2003. Su Chiesa e Sinagoga nell’arte medievale si vedano le interessanti pagine web di Mariano Akerman: Ecclesia et Synagoga e The Living Cross.

La sinagoga nella cattedrale di Strasburgo
Fig. 2
Rappresentazione della sinagoga.
Cattedrale di Strasburgo
(da Web Gallery of Art).

 

chiesa e sinagoga
Fig. 3
L’arcangelo Gabriele e Zaccaria. Chiesa e Sinagoga.
Ms. francese del XIV sec. (da Mandragore).

 

Chiesa e sinagoga
Fig. 4
La chiesa e la sinagoga.

 


Gilberto Crispino
(c. 1046-1117)

Nel secolare confronto tra la cristianità latina e le altre religioni i due trattati di Gilberto Crispino (Disputatio iudaei et christiani, Disputatio christiani cum gentili de fide Christi) costituiscono una tappa tanto importante quanto singolare. La Disputatio iudaei et christiani, soprattutto, si distingue per il tono pacato e urbano, che rifugge dall’asprezza polemica di tanti altri scritti di polemica anti-ebraica. L’opera ebbe una considerevole diffusione, affermandosi come punto di riferimento per i polemisti successivi. Lo testimoniano oltre trenta manoscritti, dei quali una ventina risalenti al XII secolo.

Disputa
Fig. 5
Disputa tra un chierico e due ebrei. Miniatura del XIV secolo.

Abate di Westminster e amico di Anselmo, a cui l’opera è indirizzata, frater Gillebertus scrive intorno all 1093, probabilmente basandosi sui materiali di una disputa realmente sostenuta. Ad occasionarla fu l’incontro con un ebreo colto, formatosi a Magonza (prol., p. 32; PL 159, 1005A: apud Maguntiam litteris educatus). Magonza rappresentò con Worms un importante centro intellettuale dell’ebraismo europeo, almeno fino a quando, nel 1096, la locale comunità fu massacrata dai crociati.

Gilberto Crispino
Fig. 6
La tomba di Gilberto Crispino
(Abbazia di Westminster)

Poco prima di quei drammatici eventi, la Disputatio riflette una fase nella quale la polemica può ancora permettersi toni amichevoli (prol., p. 32; 1005B: de scripturis ac de fide nostra sermonem amico animo habebamus). “Con animo amico” (amico animo) e “con animo tollerante” (toleranti animo) sono espressioni che vengono ripetute più di una volta da Gilberto, costituendo un costante motivo di sottofondo. Il punto di vista dell’interlocutore viene preso sul serio, cercando di offrire risposte esaurienti alle questioni sollevate. Certo l’urbanità non deve essere scambiata per condiscendenza e l’esposizione delle opinioni altrui non è fine a se stessa. Benché ne abbia esteriormente la struttura, la Disputatio non è esattamente un dialogo: a ogni attacco dell’avversario corrisponde una dettagliata replica volta a dimostrare la verità cristiana, quindi si passa ad un altro argomento. Sembra una sequenza di obiezioni e risposte, più che un’autentica conversazione. Del resto lo scopo rimane essenzialmente apologetico e non stupisce pertanto la circospezione usata nel sottoporre l’opera al giudizio di Anselmo: sia lui – dice Gilberto – a decidere se lo scritto sia o meno da approvare. Nel caso sia da respingere, verrà distrutto in silenzio in modo che nessun altro abbia modo di leggerlo (prol., p. 34, 1006A: hoc opus tuae transmitto examinandum censurae. Si res approbanda est, tuo placebit approbata iudicio. Si vero respuenda est, seu tota, seu pars eius aliqua, quicquid respuendum erit accipe amico dictum in aure; et quia soli amico innotuit, silentio supprimatur, nec alicui haec ad legendum pagina communicetur). La prudenza era d’obbligo prima di far circolare un’opera di tal genere. Il fatto stesso di esporre con una certa onestà le opinioni dell’avversario imponeva cautela: la cosa avrebbe potuto favorirne la diffusione.

S. Anselmi,... Opera omnia, nec non Eadmeri,... Historia novorum et alia opuscula, labore ac studio D. Gabrielis Gerberon,... expurgata et aucta. Editio nova, opusculis recens editis illustrata... accurante J.-P. Migne,.... Tome 2
La Disputatio edita tra le opere di Anselmo
(Patrologia Latina, da gallica.bnf.fr)

Uno dei temi centrali riguarda l’interpretazione delle sacre scritture. Alla diretta domanda dell’ebreo, “se i precetti biblici devono essere osservati, perché trattate da cani noi che lo facciamo, bastonandoci e perseguitandoci dappertutto?” (pp. 34-36, 1007A: Si autem lex observanda est, cur eius observatores canibus assimilatis, fustibus extrusos usquequaque insectatis?), Gilberto risponde che sebbene i comandamenti biblici siano in sé buoni, vanno comunque compresi nel loro senso profondo (Divino quidem sensu legis mandata intellegenda esse). Una loro lettura ad litteram, viene ricordato, condurrebbe a contraddizioni e assurdità: non possiamo intenderli se non li interpretiamo in senso trascendente (pp. 36-37, 1008A). Senza contare che vi è pure una dimensione storica, per cui taluni precetti vanno osservati ad tempus, in relazione a una determinata epoca (p. 42, 1010A). Solo la venuta di Cristo, mediator dei et hominum, apre la comprensione del senso autentico della scrittura (1010C). Più avanti, sempre a questo riguardo, l’ebreo opporrà che l’uso sfrenato dell’allegoria (ad libitum vestrum) fatto dai cristiani sfocia sovente nell’arbitrio:

Perché voi, dove volete, avete posto allegorie e figure, e dovunque la lettera contrasti con il senso che intendete darle, dite che la lettera nasconde allegorie e figure, e a vostro piacere spiegate quel che c’è da spiegare. Con questa considerazione, dico io, potete adattare la Scrittura a tutto quel che volete. Infatti, non sottomettete il senso dato da voi alla Scrittura, ma sottomettete la Scrittura al senso dato da voi.

Quia, ubicumque vultis, allegorias et figuras ponitis et ubicumque littera sensui vestro repugnat, allegoriis et figuris litteram obvolutam esse dicitis et ad libitum vestrum exponendo explicatis, ista, inquam, consideratione scripturam potestis accomodare ad quaecumque vultis. Non enim sensum vestrum scripturae subditis, sed sensui vestro scripturam subponiti (p. 126).

Chi conosca la libertà con la quale gli scrittori patristici e medievali ricorrevano al metodo allegorico non ignora quanto fossero fondate le rimostranze degli esegeti ebraici.


 

MATERIALI


Disputatio iudaei et christiani


I riferimenti sono alle pagine della traduzione tedesca (con testo a fronte):
Gilbert Crispin, Religionsgespräche mit einem Juden und einem Heiden. Disputatio iudaei et christiani. Disputatio christiani cum gentili de fide Christi, Lateinisch – Deutsch, übersetzt und eingeleteit von Karl Werner Wilhelm und Gerhard Wilhelmi, Freiburg i. Br., Herder, 2005, 197 pp. (Herders Bibliothek der Philosophie des Mittelalters. Herausgegeben von Matthias Lutz-Bachmann, Alexander Fidora, Andreas Niederberger, Band 1) ISBN 3-451-28506-1.

Il testo latino della Disputatio è disponibile su Gallica nell’edizione della Patrologia Latina (PL 159, 1005A-1036D).

Per altre notizie:
J. Armitage Robinson, Gilbert Crispin, abbot of Westminster; a study of the abbey under Norman rule, Cambridge, Cambridge University Press, 1911 [su Internet Archive]


Keywords: Gilbert Crispin, Disputatio iudaei et christiani, antisemitism

La religione di Giovanni Pico della Mirandola

Recensione apparsa su Schede Medievali 24-25 (1993), pp. 394-395.
Antonino RASPANTI, Filosofia, teologia, religione. L’unità della visione in Giovanni Pico della Mirandola, Palermo, EDI OFTES, 1991, 336 pp. (Facoltà Teologica di Sicilia, Studi IV).

Pico della Mirandola
Giovanni Pico della Mirandola. Illustrazione dagli Elogia
Virorum literis illustrium
di Paolo Giovio (Basilea, 1577).


Una delle contraddizioni che rendono misteriosa e ricca di fascino la figura di Giovanni Pico della Mirandola è data da un certo disequilibrio all’interno della sua opera, fornita di una profonda capacità di suggestione e però, d’altra parte, stranamente elusiva.

Lo studio di Raspanti (con qualche incertezza fra monografia generale e trattazione di un aspetto specifico) si incentra sul nucleo religioso del pensiero di Pico, mettendone in evidenza il ruolo complessivo e illustrandolo analiticamente nel dettaglio delle singole opere. L’introduzione discute le principali ricostruzioni della figura intellettuale del Mirandolano, la prima parte propone un “tentativo di valutazione critica”, mentre un’ampia seconda parte contiene l’analisi delle singole opere.

Non sono molte critiche che si possono fare a un lavoro come questo, solido, ben documentato ed estremamente equilibrato nei giudizi. Ci sono, tuttavia, alcuni punti sui quali si avverte il bisogno di maggiori approfondimenti.

Uno dei meriti principali del volume è dato dall’efficacia con cui vengono effettuati il recupero e la ricostruzione della dimensione religiosa all’interno della quale si consuma la vicenda esistenziale e teoretica del Pico. Quest’aspetto è affrontato dal Raspanti in modo assai deciso e convincente, non è invece altrettanto chiaro che una tale dimensione religiosa sia situabile senza alcun problema nel quadro della più perfetta ortodossia cattolica (e su ciò non sarebbe stata inopportuna una riflessione più articolata).

Ad esempio, la conoscenza di sé e del proprio autentico essere, fondamento di quella “conversione alla filosofia” così intensamente vissuta dal Mirandolano, secondo Raspanti non è il frutto di uno sforzo umano ma scaturisce “dall’incontro personale e gratuito con Cristo” (p. 89). “La natura di questa conoscenza è dunque religiosa, una rivelazione gratuita concessa al chiamato; Dio ha condotto lo sguardo a posarsi sull’io svelandogli la sua dignità” (p. 68).

Ma, che le cose stiano così non viene in realtà dimostrato: non è sufficiente dire che “nell’Oratio e nelle altre opere è chiaro il ricorso all’intervento dello Spirito di Dio e della grazia” (p. 68). Infatti, il problema è che bisogna spiegare come la nozione di grazia debba qui essere intesa: si tratta della grazia agostiniana o di quella pseudo-dionisiana e neoplatonica? Perché la gratuità dei doni divini può anche significare soltanto l’assenza di costrizioni esteriori rispetto a Dio, pur restando tali doni elargiti in maniera continua e indifferenziata. Avremmo a che fare, in tal caso, con una grazia priva di qualsiasi nota di arbitrarietà, non personale ma “ontologica” (inerente cioè alla stessa costituzione degli esseri).

D’altra parte, se la conoscenza di sé sorge invece in conseguenza di una grazia elettiva, come potremo poi dire (p. 58) che Pico fissa nelle pagine dell’Oratio la scoperta della “possibilità, tutta affidata all’arbitrio dell’uomo, di unirsi con Dio”?

Leaf from Johannes Picus de Mirandula's 'De Genere Dicendi Philosophorum' (1498)
Pagina del De genere dicendi philosophorum di Pico (da Flickr.)


Forse, è stato sottovalutato anche il carattere essenzialmente laico (e perciò profondamente umanistico) dell’impegno religioso del Pico. Certo non era nelle sue intenzioni porsi al di fuori del magistero ecclesiastico, eppure negli scontri con Roma emerge qualcosa di meno accidentale di una semplice incomprensione. Nel combattere (contro gli steccati dottrinali della tarda scolastica) la separazione di filosofia, teologia e religione si rivendica in fondo il diritto in quanto uomini all’esercizio della riflessione filosofica e teologica. La conoscenza di Dio è un dovere (e una possibilità) inerente all’essenza più intima dell’uomo in quanto tale, e non riguardante l’uomo solo in quanto inserito nello spazio sacramentale e gerarchico della Chiesa.

Il volume è completato da una dettagliata Tavola cronologica, dalla Bibliografia e dall’Indice degli autori. Si fa sentire la mancanza di un indice dei luoghi citati.


Collegamenti utili



  • Un’eccellente edizione elettronica dell’Oratio de hominis dignitate sul sito del Progetto Pico
  • Il testo delle Conclusiones (sempre a cura del Progetto Pico)
  • Le Disputationes e il De ente et uno su Bivium
  • La biblioteca di Pico della Mirandola
  • La voce su Pico della Stanford Encyclopedia of Philosophy
  • Pico negli Elogia Virorum literis illustrium di Paolo Giovio (Basilea, 1577)

  • Keywords: Giovanni Pico della Mirandola, Johannes Picus Mirandulanus, Theology.

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