Alberto, gli eretici e una singolare difesa del principio di non contraddizione

di g.r.

dominicanes
Domini canes. Particolare dall’affresco di Andrea di Bonaiuto.
Sala capitolare di Santa Maria Novella (Cappellone degli Spagnoli), Firenze 1365.

Nell’illustrazione: Domini canes, i frati predicatori all’attacco degli eretici. San Domenico guida i cani contro i lupi (o le volpi) che insidiano il gregge. Il mantello dei cani, bianco e nero, rinvia all’abito domenicano. Gli eretici erano spesso paragonati ai lupi rapaces di Mt. 7,15 (Attendite a falsis prophetis, qui veniunt ad vos in vestimentis ovium, intrinsecus autem sunt lupi rapaces) o, ancora più frequentemente, alle volpi di cui si fa menzione ad esempio in Ct. 2,15 (Capite nobis vulpes parvulas quæ demoliuntur vineas). Non è chiaro quali siano qui gli animali attaccati dai cani (l’immagine sotto questo aspetto conserva una qualche ambiguità), ma in ogni caso il riferimento è all’eresia. Per maggiori informazioni sull’iconografia dell’affresco si vedano Mandonnet e Polzer.

Fondazione Zeri
Particolare dell’affresco di Andrea Bonaiuti (Fondazione Zeri).
Fondazione Zeri
Pietro Martire e Tommaso d’Aquino confutano eretici e infedeli.
Particolare dell’affresco di Andrea Bonaiuti (Fondazione Zeri).

 

Sul numero cinque di Mediaeval Sophia si può leggere un breve articolo dedicato alle idee di Alberto Magno sugli eretici (con una curiosa applicazione dell’argomentazione aristotelica di Met. IV, 1008b 12-25): Guglielmo Russino, Alberto, gli eretici e una singolare difesa del principio di non contraddizione, «Mediaeval Sophia» 5 (gennaio-giugno 2009), pp. 96-100. Il pdf dell’originale è liberamente scaricabile previa registrazione. Riporto qui di seguito il testo con qualche piccola correzione.


Abstract

L’appassionata difesa della ricerca filosofica e scientifica fatta da Alberto Magno non implica alcuna tolleranza nei confronti dell’eresia. La subordinazione al corpo ecclesiale costituisce il discrimine oggettivo che distingue i veri cristiani dagli eretici. Per questi ultimi occorre la più severa repressione e non c’è spazio per il confronto intellettuale. Come il metafisico non discute con chi nega il principio di non contraddizione, così il teologo a chi nega i fondamenti risponde coi fatti e non con le parole.

The impassioned defence of philosophical and scientific research by Albertus Magnus does not imply any tolerance towards heresy. Subordination to the church constitutes the objective discriminant that distinguishes true Christians from heretics. For the latter the most severe repression is needed and there is no room for intellectual debate. Just as the metaphysician does not discuss matters with anyone who denies the principle of non-contradiction, likewise the theologian does not discuss matters with anyone who denies the bases and responds with facts and not words.


ALBERTO, GLI ERETICI E UNA SINGOLARE DIFESA DEL PRINCIPIO DI NON CONTRADDIZIONE

di Guglielmo Russino

Corsair MS M.1044 fol. 22v
Lupi che attaccano un gregge. Francia, 1406-1407 (Corsair).

1. Sub ordine ecclesiae

Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete [1]. Nel commentare queste parole del Vangelo di Matteo Alberto ha l’occasione di delineare il suo pensiero sugli eretici. Costoro, ammantati di pietà allo scopo di ingannare, esibiscono un aspetto pacifico ma in realtà posseggono la ferocia di una belva (ferocitatem lupinam) [2]. Si pone però un dubbio: come facciamo a individuarli? L’albero si riconosce dai suoi frutti, dice il vangelo, ma i frutti non sono le azioni compiute? E le azioni degli eretici sono in apparenza innocenti: le loro opere sunt ovina. Anche i loro proseliti non appaiono malvagi. In altri termini, come possiamo distinguere dei lupi che si ostinano a comportarsi esteriormente come agnelli? [3]

La risposta taglia di netto ogni incertezza. Il criterio è semplice e chiaro: basta guardare ai fini a cui tendono. Sub ordine ecclesiae non sono lupi ma veri profeti, se invece procurant scissuram dall’ordine della chiesa, diventando causa di divisione, si rivelano come eretici. Fino a quel momento è impossibile riconoscerli. La discriminante è oggettiva. Solo quando si collocano al di fuori della chiesa possiamo individuarli [4]. Ostinati nel difendere i loro dogmi, vanno trattati con mano ferma. Bisogna domarli con il ferro: quello dell’argomentazione e, letteralmente, quello della più severa coerci­zione:

Quia haeretici manu molli ecclesiae tangi non possunt, sed ferro domantur acutae argumentationis et severae coercionis. [5]

In tutto ciò la falsa credenza ha un ruolo marginale. Non era esattamente questa a turbare Alberto. Cadere in errore è naturale per l’uomo, a distinguere l’eretico è semmai l’ostinata difesa che fa della sua falsa dottrina [6]. Alla radice dell’errore è la nigra spina dell’ostinazione, la volontà di difendere le proprie idee a tutti i costi (punctura obstinacis et acutae defensionis suorum dogmatum), laddove la vera dottrina non desidera il primato quanto l’adesione all’ordine ecclesiastico [7].

La durezza di queste parole non deve farci dimenticare che dobbiamo ad Alberto alcune appassionate difese della libertà d’indagine filosofica. Ne sono un esempio queste celebri righe:

A conforto della loro incapacità, negli scritti degli altri non vanno cercando che difetti… tali esseri [scientificamente inoperosi e retrogradi] hanno ucciso Socrate e cacciato in esilio Platone. Nell’organismo della comunità scientifica essi sono ciò che nel corpo umano è il fegato. Come la bile, che esce dal fegato, amareggia tutto il corpo, così anche nella vita scientifica vi sono certi uomini acerbi e pieni di bile, che amareggiano e inaspriscono la vita degli altri, rendendo loro impossibile il cercare la verità mediante un lavoro comune e fecondo. [8]

Non credo sia da sottovalutare, nelle parole di un frate domenicano (appartenente all’ordine cui in particolar modo era delegata l’inquisizione), l’accenno alle persecuzioni subite ingiustamente dai filosofi. Alberto prende appas­sionatamente posizione contro tutti quei torpentes che a causa della loro pigrizia intellettuale provocarono l’uccisione di Socrate e l’esilio di Platone, convinto com’è che la verità vada cercata mediante un lavoro comune e cooperativo (in dulcedine societatis) [9]. Ma la libertà dei sapienti, che pure ha limiti ben definiti nella subordinazione al corpo ecclesiale, non ha nulla a che fare con le opinioni disordinate del volgo. L’aspirazione ad una ricerca scientifica senza ostacoli non va scambiata in alcun modo per tolleranza verso la devianza religiosa. La Compilatio de novo spirito, una lista di proposizioni ereticali a lui attribuibile che è tra le più antiche testimonianze dell’eresia del libero spirito, documenta sia la determinazione di Alberto nel combattere l’eresia sia il suo acume nel discernere i pericoli dottrinali al loro primo apparire [10].

2. Una singolare difesa del principio di non contraddizione

Merita di essere ricordata, a questo proposito, una singolare difesa del principio di non contraddizione. La Summa de mirabili scientia Dei di Alberto (redatta negli ultimi anni della sua lunga vita) discute, com’era uso, lo status epistemologico della teologia. Si chiede, fra l’altro, se questa sia una disciplina argomentativa [11]. Alberto distingue due aspetti dell’argomentare: lo si può fare ad rem, in relazione alla cosa stessa, oppure ad positionem quando si esamina quali conseguenze derivino correttamente da proposizioni che siano state concesse. Nel primo caso la teologia non procede in modo argomentativo, dato che il suo oggetto è interamente fondato sulla verità rivelata, nel secondo è possibile e necessario che provveda ad argomentare: positionem … defendi contra haereticos necesse est. Proprio la necessità di disputare con l’eretico giustifica dunque il ricorso a procedure razionali [12].

Tuttavia non si discute con coloro che negano i principi (esattamente come nelle altre scienze, tiene a sottolineare Alberto). Anche in teologia qualora si neghi la verità delle sacre scritture svanisce ogni possibilità di confronto. In egual misura, se qualcuno intendesse negare il principio di non contraddizione gli si può rispondere solo coi fatti e non con le parole (metaphysicus cum negante omnia … non verbo disputat, sed facto). È quel che diceva il quarto libro della Metafisica, [13] ma la conclusione che segue aggiunge qualcosa di nuovo a quanto si trova in Aristotele:

Non enim restat, nisi ut adversarius veritatis proiciatur in ignem, quia secundum eum idem est esse in igne et non in igne esse. Sic facit theologus separans ab eo qui omnia negat, quae scriptura dicit. [14]

Se lo stagirita parlava della differenza tra l’andare o no a Megara, tra il cadere o no nel pozzo, Alberto non sembra disposto ad attendere che il negatore dei princìpi primi si scontri da sé con la dura realtà dei fatti [15]. Propone un approccio più attivo: l’adversarius veritatis sia gettato nel fuoco e vedrà [16]. Così fa il teologo, conclude. Intende dire che il teologo si comporta, da questo punto di vista, come qualsivoglia altro uomo di scienza, ma indubbiamente il riferimento ai roghi, alla missio in ignem, conferisce all’esempio un tono assai sinistro.

Non è niente di diverso da quanto scriveva già Avicenna:

Quanto a colui che è ostinato, sarà bene domandargli di introdursi nel fuoco: infatti il fuoco e il non-fuoco sarebbero la stessa cosa! E gli si farà provar dolore colpendolo, perché il soffrire e il non soffrire sarebbero una [stessa cosa]! [7].

Ma Avicenna, come Aristotele, parlava di un principio logico-metafisico e universale. Trasferire il discorso sul piano teologico, a proposito questa volta di principi ricevuti storicamente per mezzo di una rivelazione e trasmessi da una catena di autorità, dà al passo un carattere senza dubbio inquietante. È difficile non sentire, sullo sfondo, il crepitio di quei roghi che al tempo di Alberto inghiottivano il dissenso religioso.


NOTE

[1] Mt. 7, 15-16: Attendite a falsis prophetis, qui veniunt ad vos in vestimentis ovium, intrin­secus autem sunt lupi rapaces: a fructibus eorum cognoscetis eos.

[2] Alberti Magni Super Matthaeum 7, 15 (Col. 21/1, p. 261, 75-76).

[3] Alberti Magni Super Matthaeum 7, 16 (Col. 21/1, p. 262, 45-53): Et quaeritur: Qui sunt fructus? Quia si fructus dicantur opera, per praedicta constat, quod illa sunt ovina; et sic per illa non possunt co­gnosci. Si autem, ut dicit Augustinus, fructus dicantur filii et proselyti ipsorum […] adhuc non videtur conveniens, quia filii eorum sunt sicut ipsi; et ita sunt latentes et non cognoscibiles.

[4] Alberti Magni Super Matthaeum 7, 16 (Col. 21/1, p. 262, 54-61 e 71-80): Videtur mihi, quod fructus eorum dicuntur ea in quibus quaerunt refici sicut in finibus suarum intentionum, quia si illos fines sub ordine ecclesiae collocant, non sunt lupi, sed veri prophetae; si autem in mundanis collocant, hypo­critae fuisse cognoscuntur; et si procurant scissu­ram eorum ab ordine ecclesiastico; tunc haeretici esse cognoscuntur. Et usque ad illos fructus non cognoscuntur. […] unde quando nolunt subdi ordini ecclesiastico, statim dinoscuntur. […] Sicut enim zizania […] ita est de haereticis et falsis prophetis sive doctoribus: quamdiu praeten­dunt virorem virtutis, cognosci non possunt. sed quando folliculos faciunt ad fructificandum vel in temporalibus vel conciliabulis in aristis ecclesiae non collocatis, tunc sunt vitandi.

[5] Alberti Magni Super Matthaeum 7, 16 (Col. 21/1, p. 263, 27-30).

[6] Alberti Magni Super Matthaeum 24, 24 (Col. 21/2, p. 570, 71-75): Aliud est in errore tangi et aliud in errore induci; tangitur enim, qui temptatur, et hoc humanum est, quia humanae ignorantiae est errare; sed in errore inducitur, qui errori consentit. Sed haereticus est qui defendit pertinaciter.

[7] Alberti Magni Super Matthaeum 7, 16 (Col. 21/1, p. 263, 12-24; 58-60).

[8] Alberti Magni Politica 8, 6 (Borgnet 8, pp. 803-804): Et hoc dico propter quosdam inertes, qui solatium suae inertiae quaerentes, nihil quaerunt in scriptis, nisi quod reprehendant: et cum tales sint torpentes in inertia, ne soli torpentis videantur, quaerunt ponere maculam in electis. Tales Socratem occiderunt, Platonem de Athenis in Academiam fugaverunt, in Aristotelem machinantes etiam eum exire compulerunt […]. Qui in communicatione studii sunt, quod hepar in corpore: in omni autem corpore humor fellis est, qui evaporando totum amaricat corpus, ita in studio semper sunt amarissimi et fellei viri, qui omnes alios convertunt in amaritudinem, nec sinunt eos in dulcedine societatis quaerere veritatem (tr. it. parzialmente tratta da M. Grabmann, L’influsso di Alberto Magno nella vita intellettuale del Medio Evo, tr. it. Roma, Scuola tipografica missionaria domenicana, 1931, p. 9).

[9] Sul carattere comunitario della ricerca intellettuale si veda l’articolo di Y. Congar, “In dulcedine societatis quaerere veritatem”. Notes sur le travail en équipe chez S. Albert et chez les Prêcheurs au XIIIe siècle, in G. Meyer – A. Zimmermann (hrsg.), Albertus Magnus Doctor Universalis: 1280-1980, Mainz, Matthias-Grünewald, 1980, pp. 47-57.

[10] Il testo in W. Preger, Geschichte dei deutschen Mystik I, Leipzig, 1874, pp. 460-471. Cfr. A. Patschovsky, Der Passauer Anonymus. Ein Sammelwerk über Ketzer, Juden, Antichrist aus der Mitte des 13. Jahrhunderts (Schriften der MGH 22), Stuttgart, Hiersemann, 1968 (in particolare la p. 51).

[11] Alberti Magni Summa de mirabili scientia Dei I, tract. 1, q. 5, cap. 3 (Col. 34/1, pp. 18-20).

[12] Sempre con la necessità di rispondere alle obiezioni mosse contro la fede Alberto aveva in precedenza giustificato il ricorso alla filosofia in campo teologico. In verità, più che una concessione, la sua sembra una critica contro chi ritiene che si debba fare a meno di un’indagine razionale (e quindi di una solida preparazione filosofica). Ci sono individui — soprattutto i filosofi — ai quali è necessario rivolgersi mediante verba perscrutata, ovvero mediante parole attentamente vagliate: in asserenda fidei veritate non sunt introducendae rationes philosophicae sicut principales… Sed sicut secundariae induci possunt et sunt utiles, maxime contra philosophos, qui propter hoc quod sunt nutriti in verbis perscrutatis, versum est eis quasi in naturam, quod non possunt recipere sine sermone perscrutato. Et ideo sancti utuntur contra eos ad assertionem fidei rationibus propriis ipsorum… (Alberti MSuper Dionysii Ep. VII, Col. 37/2, p. 504, 11-24). Segue il famoso brano in cui si scaglia contro gli avversari degli studi filosofici: quamvis quidam, quia nesciunt, omnibus modis velint impugnare usum philosophiae, et maxime in praedicatoribus, ubi nullus eis resistit, tamquam bruta animalia blasphemantes in his quae ignorant (ibid., 28-32).

[13] Aristotele, Met. IV, 1008b 12-25.

[14] Alberti Magni Summa de mirabili scientia Dei I, tract. 1, q. 5, cap. 3 (Col. 34/1, p. 20, 14-18).

[15] Cfr. Mt. 18, 8 nel testo della Vulgata: Si autem manus tua, vel pes tuus scandalizat te, abscide eum, et projice abs te: bonum tibi est ad vitam ingredi debilem, vel claudum, quam duas manus vel duos pedes habentem mitti in ignem aeternum.

[16] D’altronde la missio in ignem dell’adversarius veritatis non è altro che l’anticipazione su questa terra delle fiamme eterne: cfr. Alberti Magni Super Matthaeum 7, 19 (Col. 21/1, p. 265, 64-67). Il commento è al passo della Vulgata in cui si dice: Omnis arbor, quae non facit fructum bonum, excidetur, et in ignem mittetur (Mt. 7, 19).

[17] Avicenna, Metafisica I, 8 [53], tr. it. a cura di O. Lizzini, Bompiani, Milano, 2002, p. 117: Sed oportet ut stolidum mittamus in ignem, quoniam tenet ignem et non ignem esse unum, et verberibus faciamus eum dolere, quoniam tenet quod dolere et non dolere sunt unum.

Keywords: Albertus Magnus, Albert the Great, heresy, inquisition, tolerance, principle of non-contradiction.